venerdì 29 aprile 2016

Lets get personal! - Style -


Come va con il decluttering? Qualcuna di voi ha messo in pratica, pedissequamente, il metodo di Marie Kondo? O altri metodi... E la mindfulness? Fatte le pulizie di primavere anche lì? Qua non si finisce di sistemare un ramo della proprio vita che bisogna subito mettere mano a un altro... E' una fatica star dietro alla moda! A parte gli scherzi, pensavo fosse carino, dopo aver condiviso con voi i miei obiettivi di leggerezza, farvi sapere a che punto fossi del mio cammino, così magari da darvi degli spunti e, soprattutto, riceverli da voi.

Abbigliamento
A parte due acquisti per sostituire una camicia bianca e una t-shirt, anche lei bianca, ormai usurate, non mi sono comprata nient'altro dall'inizio dell'anno. Come mi sento? Ho le formiche al culo, definizione poco elegante che ho letto da qualche parte su Internet, ma che mi ha fatto tanto ridere e rende perfettamente l'idea di come mi sento. E' difficile, lo ammetto; non sono mai stata una maniaca dello shopping ma sicuramente ero abituata a regalarmi un acquisto ogni tanto. Avere qualcosa di nuovo nell'armadio è piacevole, è innegabile; per fortuna è venuta in mia salvezza la primavera, con lei il cambio dell'armadio e la possibilità, in questo modo, di indossare vestiti diversi. Così come è consigliato evitare di grattarsi dopo essere stati punti da una zanzara, stare lontano dai centri commerciali e dai negozi aiuta; è un po' più difficile se si ricevono i cataloghi nella buca delle lettere: se riuscite a sfogliarli senza connettervi a Internet bene, altrimenti gettateli senza neanche aprirli.
Ho anche imparato che se la pausa di riflessione si chiama così è per un motivo: mentre sei fermo pensi. Nello specifico sto finalmente capendo che cosa mi piace e che cosa no, i vestiti che mi fanno sentire a mio agio e quelli che invece ho comprato per puro capriccio e, così, continuo a sfoltire l'armadio. Mi sto anche interrogando con quali capi voglio, in futuro, riempire il suddetto mobile, puntando più sulla qualità che sulla quantità. Senza fretta sto compilando una wish-list; ho realizzato che l'avvento dell'inizio della scuola per VV mi sta facendo venire voglia di vestire una nuova me: dopo quasi tre anni trascorsi a prendermi cura di mia figlia indossando abiti comodi e sportivi, ho voglia di più femminilità, quasi a voler riprendere possesso di questo mio lato trascurato. Ma, ripeto, non c'è fretta...

Trucchi
Non mi sono più comprata nulla solo per piacere di farlo; gli acquisti fatti sono stati compiuti solo per sostituire prodotti già finiti. E ho scoperto che ci metto una vita a finirli! La qual cosa non mi ha spaventata anzi rincuorata: posso concedermi così di spendere di più e scegliere anche prodotti che prima pensavo di non potermi permettere.
Il reparto smalti è stata una rivelazione: ne avevo davvero molti e anche ora, dopo più di un anno che non ne ho più comprati, ne ho ancora ben 9 di colori diversi (VV mi ha aiutato rompendone due, come fa il decluttering lei non lo fa nessuno...). Mi sono resa conto di come possederne di tutti i colori fosse davvero solo una moda, un capriccio, un superfluo. Così come per il vestiario sto scoprendo che, anche per la manicure, sono più per la semplicità e comodità: ho più a cuore una mano ben curata che uno smalto all'ultima moda ma, magari, sbeccato.

L'obiettivo è di continuare a non comprare nulla se non necessario, almeno fino all'arrivo dei saldi ma anche oltre, se sarò brava!
Sono curiosa di sapere come voi gestite questo aspetto della vostra vita. Mi fate entrare nel vostro armadio? Avete donne a cui vi ispirate? Scrivetemelo nei commenti!

mercoledì 27 aprile 2016

La cura 2


Due settimane fa vi ho raccontato che cosa è per me la lettura e di come i libri mi abbiano aiutata nel corso della mia vita. Vi avevo poi domandato che tipo di aiuto avreste voluto chiedere a un libro e due di voi mi hanno risposto.

Polepole ha espresso il desiderio di venire rassicurata e incoraggiata, di sentirsi dire che la strada che sta percorrendo è quella giusta e che non deve demordere, ce la farà a raggiungere il traguardo che si è prefissata. La conosco da poco e non so nulla dei suoi gusti in fatto di libri così come ignoro il cammino che sta percorrendo. Ho pensato che un romanzo di formazione potesse fare al caso suo: seguire le avventure, le peripezie, le cadute e le difficoltà di un'altra persona sono sicuramente di consolazione e aiutano a non sentirsi soli in questo difficile viaggio che è la vita. Il libro che ho scelto per lei è “Il bar delle grandi speranze” di J.R. Moehringer. Un libro che contiene la parola speranza nel titolo mi sembra già di buon auspicio! Inoltre è un'autobiografia, quindi è una storia galbusera e, come si dice, se ce l'ha fatta lui... Inutile aggiungere che è scritto in modo magistrale e io l'ho a-do-ra-to, il classico libro che non vorresti abbandonare mai e ti dispiace quando è finito.
Figlio unico di madre single, J.R. Cresce ascoltando alla radio la voce del padre, un dj di New York che ha preso il volo prima che lui dicesse la sua prima parola. Poi anche quella voce scompare. Sarà il bar di quartiere, con l'umanità varia che lo popola, a crescerlo e farne un uomo.
Anche Sandra ha bisogno di un'iniezione di fiducia con l'aggiunta di un pizzico di menefreghismo. Lei la conosco da molti anni, so quello che ha passato e le difficoltà che sta incontrando ora e mi sento di suggerirle due libri. Il primo è “L'anno del pensiero magico” di Joan Didion, una sorta di diario/riflessione che l'autrice ha scritto in seguito alla morte improvvisa del marito. E' difficile comprendere come sia possibile ricevere fiducia da una persona che racconta di un grave lutto eppure, tra le parole della Didion, è proprio la luce in fondo al tunnel a brillare; un libro da leggere e rileggere quando si vive ogni sorta di perdita, per imparare a lasciar andare, volgere le spalle al passato (che non vuol dire dimenticare) e dirigere lo sguardo al futuro, fiduciosi.
Dovevi sentirla cambiare, la marea. E dovevi abbandonarti al cambiamento.
Il secondo libro, invece, che mi sento di consigliarle è un te l'avevo già detto: “Big Magic” di Elizabeth Gilbert; al suo interno si può trovare anche il pizzico di menefreghismo di cui tutti abbiamo bisogno quotidianamente, oltre ad uno spassionato incoraggiamento a fare il cavolo che ci pare e piace!

Spero di essere stata utile, fatemi sapere se deciderete di affrontare queste letture e come andranno. Se altri di voi sono curiosi di ricevere consigli libreschi, fatemelo sapere nei commenti o tramite e-mail, io sarò molto felice di spulciare la mia libreria per voi.

venerdì 22 aprile 2016

Reader Essentials


Domani è la Giornata Mondiale del Libro. Le iniziative si sprecano, gli inviti a leggere anche, del mio amore per i libri e per la lettura ve ne ho parlato fino alla nausea. Oggi voglio parlarvi del contorno della lettura, di oggetti frivoli, forse inutili ma proprio per questo indispensabili; così come a un piatto di cucina basta un ingrediente in più per renderlo superlativo, anche come e con cosa leggiamo può avere il potere di rendere ancora più speciale un libro.
Sono tutti oggetti di persone fisiche o realtà che seguo su Instagram, a parte la tazza, tutti completamente made in Italy, la qual cosa li rende ancora più di qualità. Ed è proprio di questo che ultimamente voglio circondarmi: talento, originalità, eccellenza e di entusiasmo, incarnato da questi artigiani e creativi.
Gli indispensabili di ogni lettore:
Una tazza per mantenere l'idratazione perché, si sa, quando un libro prende non ci si alzerebbe mai dalla poltrona.


Un portapenne per avere sempre a portata di mano una matita, per sottolineare i passaggi che ci colpiscono.


Un taccuino per trascrivere le frasi più belle o le perle di un autore.


Un segnalibro perché, se siete come me, amate poter toccare con mano a che punto del libro siete.


Una custodia per proteggere i nostri dispositivi elettronici perché, anche se amanti irriducibili della carta, siamo scesi a patti con la tecnologia per non venire sommersi da una montagna di tomi.


Facciamoci un regalo!

Tazza = BookRiot
Astuccio ...zzi miei = Funky Mama
Taccuino Oyster = Zelda Was a Writer
Segnalibro = thelapisu
Custodia I-Pad Mini = Pretty in Mad

(Photocredit: tutte le foto che ho utilizzate provengono dai siti dei produttori e sono di loro appartenenza. Rimango a disposizione nel caso ritenessero ne abbia fatto un uso improprio)

mercoledì 20 aprile 2016

Scrutatrice


Chi mi segue su Instagram lo sa già: domenica 17 aprile ho fatto la scrutatrice. Era la prima volta per me. Mi piace sempre fare qualcosa di nuovo, vivere un' esperienza mai fatta prima, c'è sempre qualcosa da imparare.
Non ero mai stata dall'altra parte del tavolo di un seggio e questo mi è servito a ricordarmi di come sia sempre utile mettersi nei panni degli altri, che è cosa buona e giusta cercare di farlo sempre, di come solo in questo modo ci si possa davvero rendere conto di come siano, davvero, le cose; troppo spesso ci si dimentica di metterlo in pratica, io per prima, il giudizio è sempre pronto sulla punta della lingua. Se solo ci fermassimo un po' prima di parlare/agire/sentenziare, se solo dedicassimo un po' più di tempo a pensare, a cercare di comprendere, a fare esercizio di immedesimazione. Domenica di tempo per pensare ne ho avuto tanto, soprattutto di osservare e di ascoltare e poi ci ho riflettuto su, il giorno seguente, con le poche ore di sonno che avevo addosso.
Ho rivisto gli uomini e le donne, di tutte le età, che mi sono passati davanti in quelle sedici lunghe ore in cui i seggi erano aperti. Di quelle persone sapevo molte cose: nome, cognome, luogo e data di nascita, indirizzo, se erano sposati o vedovi; sui registri c'erano intere famiglie, guardavamo l'età e gli indirizzi e cercavamo di capire: padre, madre, sorella, cugini. Abbiamo notato che c'erano pochi cognomi che iniziavano con la V, ancora meno con la Q, uno solo con la X; c'erano persone nate in Marocco, Francia, Olanda, Perù (questi solo alcuni dei paesi che ricordo) e altri che non si erano mai spostati dal paese di provincia in cui vivo ed è stato bello vedere tutta questa varietà. C'era una signora nata nel 1919 e io ho sperato fino all'ultimo di vederla comparire, per guardarla anche solo un po' negli occhi, perché non avrei mai avuto il coraggio di chiederle che cosa significa vivere così a lungo e aver visto due (due!) millenni, ma magari glielo leggevo nello sguardo. Qualcuno è venuto in tuta, qualcuno è passato mentre portava a spasso il cane, qualcuno era in completo elegante, forse era stato a messa o forse si era vestito così proprio per venire a votare.
Qualcuno, molti, la maggior parte, non sono venuti affatto. Dicono che il non presentarsi sia, anche questo, un modo di esercitare il diritto di voto. Ci ho pensato su è, per quanto mi riguarda, io penso che sia un modo molto vigliacco di farlo, che diritto e vigliaccheria sono due parole che non vedo affatto bene messe vicine, che insieme non portano molto lontano. Penso alle numerose persone che passano molto tempo a lamentarsi di quello che fa il Governo e poi, quando quest'ultimo gli chiede “Che ne pensi? Cosa vuoi che faccia?”, gli risponde “Non lo so, fai tu, perché perdi tempo a chiederlo a me? Ci sono questioni ben più importanti”. Poi però quando il Governo fa qualcosa senza chiedere, come si arrabbiano... Oppure quelle che non vengono a votare “no”, perché hanno paura che i “si” siano molti di più e allora meglio sfruttare i pigri, gli ignoranti, gli anziani, gli ignavi e non far raggiungere il quorum; questo sì che è un bel modo di mettersi in gioco, questo sì che è coraggio, dei propri pensieri, delle proprie azioni, il coraggio di accettare il diritto degli altri di pensarla diversamente da te e magari averla vinta loro. Forse un ripassino della parola Democrazia potrebbe essere utile...
Ho visto bambini (perché io oramai ho una certa età... :-P) che votavano per la prima volta; ho notato il loro nervosismo, il loro non sapere bene cosa fare, le loro schede elettorali immacolate in cui ho messo il primo timbro. Ho pensato che sarebbero dovuti essere contenti, gioiosi, che quello che stavano facendo era bello, non c'è cosa più importante che avere dei diritti e poterli esercitare, non è così dappertutto, bisognerebbe ricordarlo. Questo timore reverenziale, questo approcciarsi alla politica in modo confuso e oscuro, come se fosse quasi qualcosa di sporco, mi ha fatto riflettere sul fatto che stiamo sbagliando, stiamo passando un messaggio errato alle generazioni future.
Ho visto persone che, con il voto di domenica, hanno riempito un'intera scheda elettorale e che scherzando, come se fosse una raccolta punti, mi hanno chiesto «Che cosa ho vinto? Che cosa mi danno? Un borsone?». Io ho sorriso alle loro battute, ma ora ci ho pensato e so che cosa risponderò se mi capiterà ancora di fare la scrutatrice.
Ci guadagniamo la libertà.

lunedì 18 aprile 2016

Dipingere un nuovo fondale

Se non vi piace la scena in cui vivete, se siete infelici, se vi sentite soli, se avete la sensazione che non succeda nulla, cambiate la scena. Dipingete un nuovo fondale, disegnate i vostri sogni, circondatevi di nuovi attori, scrivete un'altra commedia.
Mia madre spostava i mobili; ho perso il conto delle volte in cui sono tornata a casa da scuola e, aprendo la porta, sono entrata in una stanza diversa. Un giorno ho trovato lei e mio fratello bloccati in camera da letto perché si era messa in testa di spostare l'armadio (da sei ante!) ma non aveva fatto bene i calcoli. Io non sono mai arrivata a tanto ma in quest'ultimo periodo mi guardavo intorno, tra le pareti di casa, e avevo voglia di un panorama diverso, più fresco. Mi piacerebbe poter comprare un divano nuovo, cambiare il colore di alcune pareti, se stessi a guardare anche la cucina...
Che cosa posso fare, mi sono domandata, per dare un'aria diversa alla casa senza stravolgerla completamente, senza comprare nulla di nuovo, solo con oggetti già in mio possesso? Ho cambiato le foto nelle cornici!
Periodicamente le stampo, perché ho il terrore che vadano perse, inghiottite da computer e cellulare, ma non sempre (ahem, ultimamente proprio poco) le incollo sugli album, così rimangono chiuse in una scatola, in attesa di un non ben definito destino. Alcune ho iniziato a usarle come biglietti d'auguri, idea che trovo carina, non pensate?
Un pomeriggio ho radunato le cornici di casa e mi sono messa a caccia della foto perfetta. Spesso, il passo più complicato da fare è proprio stamparle, non si trova mai il tempo e la voglia di scegliere la foto, segnarsi la misura della cornice, andare del fotografo. Questa volta però, avendo le foto già stampate, ho deciso che non avrei prestato troppa attenzione alle dimensioni. Mi sono concentrata su un filo conduttore. Per soggiorno e cucina, che sono un ambiente unico, ho deciso che a fare da base sarebbe stato il colore blu e avrei scelto tra le foto fatte in vacanza, principalmente al mare.


Per la nostra camera da letto, avendo alcuni mobili sui toni del marrone, quasi nero, ho deciso che il colore di base dovesse essere il verde.


Come potete vedere le dimensioni delle foto sono tra le più disparate, alcune anche molto piccole rispetto alla cornice, ma vi confesso che il risultato mi piace tantissimo e sono contenta di avere angoli nuovi su cui soffermare lo sguardo!

venerdì 15 aprile 2016

Come stai?


«Come stai?» quante volte al giorno facciamo questa domanda? Quante volte al giorno ce la sentiamo porre? Quante sono le volte che stiamo, davvero, ad ascoltare e, soprattutto, quante volte rispondiamo come stiamo, sul serio?
Io rispondo quasi sempre bene, al massimo che sono stanca, ho sonno, ho mal di testa, male alla cervicale, finisco per parlare di VV, di qualcosa che ha detto o fatto e mi ha fatto ridere, o arrabbiare. Sposto l'attenzione, via, lontano da me. Mento anche a me stessa. Tranne quando tocco il fondo, quando succede e sono laggiù, trovo sempre uno specchio ad aspettarmi e sono, gioco forza, obbligata a guardarmi in faccia, ad osservarmi, studiarmi e ascoltarmi.

«Come stai, Francesca?» Ho il cuore spezzato.

Vi ho rotto le scatole parlando della mia “Monetina”, del mio azzardo, del mio giocarmi il tutto per tutto, del mio voler essere coraggiosa; vi ho raccontato di questo cammino, di come stava andando e di come mi sentissi nell'affrontarlo, di come fossi orgogliosa di me e che cosa penso dei sogni una volta finiti. Ma poi non vi ho mai detto come è andata a finire.

Ho perso.

Continuo ad essere orgogliosa di me, lo rifarei, tutto, di nuovo, nonostante sia andata come è andata; sono felice di questo cammino. Ma, nonostante ciò, perdere fa male, tanto, proporzionalmente hai quanto hai investito, credo.
I primi giorni ho pianto, non un pianto dirotto, di quelli irrefrenabili; più una commozione da occhi lucidi, attimi di nostalgia e tristezza, lacrime facili da scacciare via, ma che senza che tu te ne accorga incominciano a scavare. In seguito sono stata presa dalla frenesia del «Chiudiamo questo capitolo!», quando incominci a fare pulizia e vuoi liberarti di qualunque cosa ti possa minimamente far pensare a quello che hai perso. «Da oggi, vita nuova!». E intanto quelle piccole, leggere lacrime, scavano... Poi ti stanchi di questo lavoro di liberazione e ti fai prendere dalla vita di tutti i giorni, dagli impegni e dalle incombenze, ogni tanto ci pensi ma ti sforzi di concentrarti sul bicchiere mezzo pieno. E intanto loro scavano...
I giorni passano, gli scavi vanno avanti e, senza che tu te ne renda conto, ti ritrovi con il cuore spezzato in due.

Fa male.

Non ti senti autorizzata a piangere perché nella vita ci sono cose ben più gravi, ti vergogni perché dovresti apprezzare tutto quello che hai invece che stare lì a pensare a quello che non hai. Ti guardi intorno e vedi solo due cose: le persone che hanno quello che tu non hai ottenuto o quelle che dalla loro sconfitta sono partiti e hanno fatto qualcosa di grandioso, Le fenici che rinascono dalle ceneri. E tu invece sei lì, in fondo al baratro, davanti ad uno specchio, con il tuo cuore spezzato in mano.
Non pretendi che la gente ti capisca, non speri di ottenere parole di consolazione, non vuoi ricevere compassione, non hai bisogno che qualcuno ti asciughi le lacrime, men che meno vuoi sentirti dire che passerà. Sarebbe già una gran cosa che qualcuno guardasse, insieme a te, il tuo cuore spezzato; che rendesse vera la sua presenza, che non la negasse ma neanche che gli desse troppa importanza, semplicemente riconoscesse la sua esistenza e la tua bugia quando rispondi «Bene».

mercoledì 13 aprile 2016

La cura


I libri mi hanno salvata dai mostri, quelli che abitavano le mie notti da bambina, quelli che comparivano non appena calavano le tenebre nella mia stanza e una luce non era sufficiente a mandare via; allora prendevo un libro, molto spesso “Cuore” e leggendo la paura andava via e con lei i mostri.

I libri sono stati miei compagni di gioco e di avventura, quelli che mi hanno insegnato a sognare, inventare storie e poi farle diventare realtà, attraverso la recitazione.

I libri hanno curato la mia noia durante alcune lezioni al liceo; non me ne voglia la mia professoressa di storia e filosofia, non ero concentrata a seguire le sue spiegazioni ma le storie che di volta in volta incontravo nel romanzo tenuto accuratamente nascosto sotto il banco.

I libri hanno riempito la mia solitudine quando, da adolescente, non avevo ancora una compagnia ben rodata con cui uscire il sabato perché sono sempre stata un po' timida, anche se non sembra. Grazie a loro, però, non mi sono mai sentita sola.

I libri placano la mia ansia, la mia agitazione, la mia nonsoite, rallentano i battiti del mio cuore e sono convinta mi abbassino la pressione; fanno tanto bene al mio sistema simpatico che tanto simpatico non è.

I libri mi hanno insegnato ad essere una mamma e tutto quello che non è necessario per essere una mamma; mi fanno sentire compresa perché dicono tutto e il contrario di tutto ed è proprio così che mi sento io, in quanto mamma.

I libri sono compagni, insegnanti, amici, amanti. I libri sono magici e ti cambiano la vita. I libri sono la cura.
I libri sono la cura per ogni malessere – ci mostrano le nostre emozioni, una volta, e poi ancora una, finché non riusciamo a dominarle.

D. H. Lawrence
E voi, cosa avreste bisogno di curare in questo momento? Che tipo di aiuto chiedereste a un libro? Scrivetelo nei commenti, potrei consigliarvi la storia che fa per voi...

lunedì 11 aprile 2016

Big Magic


Un elenco senza capo ne coda di spunti, riflessioni e citazioni in seguito alla lettura di “Big Magic” di Elizabeth Gilbert.

Grazie a questo libro ho ridefinito la mia definizione di vita creativa.
...una vita vissuta sulla spinta della curiosità e non della paura... fare qualcosa di sé, qualcosa con sé.

Una vita creativa è una vita amplificata.
Ho anche stravolto completamente la mia definizione di successo.
Potete misurare il vostro valore con il metro della dedizione e non in base ai vostri successi o fallimenti.
Ed è per questo che sono arrivata alla conclusione che il mio è un blog di successo; perché nonostante non siano in molti a leggerlo, io non ho mai smesso di scriverlo, ho continuato a farlo con passione, gioia e divertimento.
...potrete ringraziare la creatività per avervi donato un'esistenza incantata, interessante e appassionata.
Guadagnondoci «la quieta gloria del fare semplicemente le cose e poi condividerle con chi ha il cuore aperto, senza alcuna pretesa». Perché «alla fine della fiera, la creatività è un dono per il creativo... senza farne una questione di stato. Facciamo le cose perché ci piace farle... Abbiamo tutti bisogno di un'attività fuori dall'ordinario che ci distacchi dai nostri prestabiliti e limitati ruoli sociali».

E se ho avuto timori e paura ad incominciare, se ancora adesso, alle volte, temo il giudizio, mi è stato giustamente ricordato che «...non c'è proprio nessuno che sta lì a pensare a noi... La gente più che altro è impegnata a pensare a se stessa». Tanto vale iniziare, preferibilmente subito, e poi proseguire.
E' opera vostra; bisogna mostrarla. Non dovete mai scusarvi per quello che avete fatto, né dare spiegazioni, né vergognarvene. Avete fatto del vostro meglio considerando ciò che sapevate, lavorando con ciò che avevate, rispettando i tempi di cui disponevate.

Non sempre ciò che produciamo è sacro... Sacro è il tempo che passiamo su un progetto, il fatto che quel tempo possa espandere la nostra immaginazione e che la nostra immaginazione espansa trasformi la nostra vita.

Consideratevi sempre dei principianti... Qua siamo tutti principianti e moriremo principianti.

Il risultato può non avere importanza... Cosa fareste sapendo che probabilmente fallirete? Che cosa amate fare al punto che le parole fallimento e successo diventano essenzialmente irrilevanti? Che cosa amate più di quanto amiate il vostro ego? Quanto è intensa la vostra fiducia in quell'amore?
Mi sono finalmente resa conto di cosa amo fare e non ho paura di dirlo e farlo. Potrei ricopiarvi il libro intero, ma vi suggerisco di leggerlo e anche rileggerlo, ogni tanto.

venerdì 8 aprile 2016

Dov'è finito il mio nome?


Se vi chiedessero se volete cambiare nome e ne aveste la possibilità cosa fareste? Vi piace come vi chiamate? O portate il vostro nome come portate il colore dei vostri occhi: qualcosa con cui ci siete nati e non potete cambiare.
A mia madre, per molto tempo, il suo nome non è piaciuto; da ragazzina mentiva e dichiarava di chiamarsi addirittura con un altro nome, ha rotto l'anima a mia nonna chiedendole incessantemente il perché di quel nome infelice per poi, crescendo, venirne a patti. Un mio amico, ormai adulto, ha deciso di cambiare il suo cognome perché non lo sentiva suo, c'era una lettera di troppo. Poche settimane fa lo stato italiano si è accorto di un'incongruenza tra i miei dati anagrafici e il mio codice fiscale. Io ho sempre fatto la gnorri perché temevo di finire in un ginepraio burocratico ma non vi dico le ramanzine che ho dovuto sorbire in ospedale, quando ho partorito VV: «Signora, è come se ci fossero due persone!». Ora sono in attesa di capire che nome avrò, spero quello scelto da me, anzi dai miei genitori.
Il nome che portiamo, insomma, ha a tutti gli effetti la sua importanza, non è cosa da poco. E' la prima cosa che ci viene chiesta come ci chiamiamo; Dio, creato il mondo, da il compito all'uomo di dare un nome a tutti gli esseri e tutte le cose, mica pizza e fichi...
Quando mio marito ha scoperto l'esistenza di questo libro, la possibilità di creare una storia con il nome del tuo bambino/nipote/amico/innamorato, mi è sembrata un'idea bellissima.


La grafica, inoltre è molto ben curata e i disegni sono davvero belli e accattivanti.


Un'avventura con le lettere del tuo nome, una viaggio alla ricerca metaforica di te stesso perché capita a tutti, prima o poi, di smarrirsi, di non sapere più chi si è.


Inutile dirvi che ci è piaciuto così tanto che, dopo averlo regalato a VV, l'ho preso anche per uno dei suoi cuginetti e ora per il figlio di una mia amica. Con quest'ultimo acquisto ho ricevuto in regalo tre buoni sconto del 20% per i futuri acquisti e ho deciso di condividerli con voi. I buoni hanno scadenza tra 90 giorni, i tempi quindi sono ristretti, chi vuole partecipare al sorteggio è sufficiente me lo faccia sapere scrivendo nei commenti. Avete tempo fino a domenica 17 aprile e il giorno seguente, lunedì 18, comunicherò i tre fortunati vincitori. In bocca al lupo!

UPDATE: Considerati i soli due commenti, posso annunciare che entrambe Stefania e Martina  sono vincitrici di un buono sconto per il libro! Spero vi piaccia e buona lettura!

mercoledì 6 aprile 2016

Sconosciuto che passi


Una paio di avvenimenti, tre per la precisione, che hanno attirato la mia attenzione in questi giorni.

C'è stata un'ondata di panico su Instagram all'annuncio che ci sarebbero state alcune modifiche sulla visualizzazioni delle foto postate: non più in ordine cronologico ma in base a un algoritmo che studia quelle più gradite (che ricevono più “like”, per capirci); per ovviare a questo inconveniente, chi vuole, può attivare l'opzione delle notifiche cioè, ogni volta che qualcuno tra le persone che segui posta una foto, tu ricevi l'avviso. Una pazzia a mio avviso, alle volte non sopporto WhatsApp, figuriamoci ricevere centinaia di messaggi al giorno! Ad essere penalizzati, ovviamente, sarebbero stati gli utenti, come me, con pochi Seguaci; ricevendo pochi Mi piace finirei sicuramente in fondo alla fila. La modifica per ora non è stata ancora messa in atto ma, nei giorni scorsi, è stato tutto un comparire di foto con scritto “Se vuoi continuare a vedere le mie foto, attiva la notifica”, la qual cosa ha reso Instagram parecchio noioso! Ciò che mi ha colpito di più è stato che sembravano maggiormente preoccupati a scomparire nel mare delle immagini proprio chi ha centinaia e centinaio, per non parlare di n-mila, seguaci, quasi fosse una questione di vita o di morte. Mi rendo conto che per molti di loro, che utilizzano questo social come mezzo di lavoro, poteva rivelarsi un inconveniente, una piccola seccatura; d'altra parte, però, mi domando quanto siamo (mi metto in mezzo) diventati dipendenti da questi programmi. Niente di nuovo, dubbi e perplessità espressi già in passato su questa società così immersa e sommersa nei e dai Social Network, questo bisogno morboso di stare sul palcoscenico, questa necessità smodata di essere notati, di ricevere un Mi piace, di essere in qualche modo gratificati.
(Nel caso vi interessasse, la mia reazione all'episodio di Instagram è stata, non solo di non attivare le notifiche, ma di smettere di seguire alcune persone per cui provavo più curiosità pettegola che reale interesse. Ne ho eliminate una trentina, della serie seguirne pochi, piccoli, ma buoni).
Veniamo al secondo episodio (sembra che salto di palo in frasca, ma io ci vedo un filo e spero di riuscire a farlo vedere anche a voi).

Ho visto “Room” e poi la notte ho faticato a dormire. Temevo sarebbe finita così e credo di averlo voluto vedere anche per confermare a me stessa quanto io sia fifona e impressionabile (forse anche un po' pirla).
Mi giravo e mi rigiravo nel letto non solo al pensiero che possa succedere qualcosa di altrettanto terribile a mia figlia (venire rapita e segregata, avere un figlio dal tuo aguzzino) ma, ed è forse la cosa che mi terrorizza di più, a non farmi dormire era il pensiero che tutto questo avvenisse in un semplice capanno degli attrezzi in un giardino, in mezzo ad altre case, con i vicina di casa che si conoscono magari da anni, si fanno gli auguri di Natale e Buona Pasqua, con cui magari ti scambi favori, a cui lasci un attimo il bambino per andare a comprare il pane.
Quanto ci conosciamo davvero?”, anche questa, come quella sui Social Network, non è una domanda nuova...

All'altezza del lavello della cucina, a casa mia, c'è una finestra. Tra colazione, pranzo e cena, a quella finestra ci passo molto tempo e, sebbene io non sia una ficcanaso, mi sono accorta che quel tempo lo passo osservando il mio vicinato. Se fossi una scrittrice, potrebbero nascere dei bei racconti sui miei vicini di casa, o un libro corale su un quartiere. Per ora mi limito ad osservarli e così facendo, tempo fa, mi sono accorta che era parecchio che non vedevo la signora che abita la casa affianco la mia. Non conosco ne lei ne il marito, non ci siamo mai parlati, se non il classico Buongiorno o Buonasera quando ci incontriamo per strada. Non sappiamo nulla uno dell'altro, se non quello che vedo.
«Che fine ha fatto quella signora?», mi domandavo, «Non ho più visto la vicina, quella della porta di fronte...», ho fatto presente a mio marito, incominciando a temere il peggio trattandosi di un'anziana. Ho poi tirato un sospiro di sollievo quando l'ho vista ricomparire con un braccio rotto al collo, «Nulla di grave», ho pensato. «Chissà se anche loro se ne accorgerebbero se io non dovessi esserci per un po'?» mi sono domandata. E poi mi sono ricordata del giorno in cui mi stavano portando via in ambulanza, di lei che è corsa in strada, in pantofole e grembiule, a chiedere a mio marito se avevamo bisogno di aiuto con la bambina piccola. E la risposta è stata sì, se ne accorgerebbero, anche loro mi osservano.

Tre eventi, così differenti tra loro, ma tutti e tre che parlano del nostro bisogno che il nostro stare al mondo venga riconosciuto, attestato, notato. Il nostro affermare «Eccomi. Sono qui. Guardatemi.» Solo che alle volte andiamo a cercare nel posto sbagliato, rivolgiamo il nostro sguardo nella direzione errata, prestiamo attenzione a cose insignificanti, lontane, non ci accorgiamo di chi abbiamo, davvero, attorno. Alle volte, basterebbe uno sguardo, uno reale, a chi ci è, davvero, accanto.

lunedì 4 aprile 2016

La vita, ultimamente 18


A marzo siamo riusciti a prendere il meglio di due stagioni in un mese solo.
Abbiamo trascorso un weekend in montagna e abbiamo salutato l'inverno sulla neve godendocela nel suo splendere sotto un caldo sole un giorno e il suo fascino sotto una bufera di neve il giorno dopo.


VV è diventata sempre più spericolata, lanciandosi in camminate in solitaria sulla neve fresca e scoprendo l'ebrezza di andare da sola sul bob. Ora la devo pregare per poterci andare insieme!


Pochi giorni dopo è arrivata la primavera regalandoci una Torino da cartolina!


Abbiamo festeggiato trascorrendo il più possibile le ore fuori, all'aperto, beandoci finalmente di luce, calore e leggerezza: addio giacconi pesanti! Ovviamente ha riaperto, alla grande, la stagione dei giardinetti: il primo pensiero di VV quando si sveglia la mattina e l'ultimo prima di riaddormentarsi.


Vi avevo parlato di Tippete, caduto vittima di un mio giro di decluttering? Quando VV ha incominciato a chiedermi di lui le avevo raccontato che era andato nel bosco. Sono contenta di annunciarvi che è tornato e sta bene! :-)
Come festeggia la sottoscritta l'arrivo della bella stagione? Leggendo, ovviamente!


Sono anche stata a vedere una mostra, occasione per visitare “Camera”, Centro Italiano per la Fotografia che ha aperto da poco a Torino e dove non ero ancora stata. 


Un museo che nei suoi bagni ti accoglie così non può non piacermi...


Se avete in programma una gita a Torino e siete appassionati di fotografia, ve lo consiglio vivamente; anche solo per scoprire che anche un architetto del calibro di Carlo Mollino non ha resistito alla tentazione di fotografare un supermercato mentre era in vacanza, ben prima dell'avvento di Instagram!


Infine è arrivata Pasqua, trascorsa tranquillamente in famiglia, con i parenti. «Quanta gente!» è stato il commento di VV quando si è seduta a tavola.


Quanto amore, aggiungo io.


venerdì 1 aprile 2016

Elegance


Ho sempre fatto la snob verso quei romanzi che vengono definiti chick-lit, nome che tra l'altro detesto perché tradotto significa letteratura per galline e la gallina sarei io, in quanto persona di sesso femminile. Odio le categorie, non sopporto il volere per forza rinchiudere qualcosa dentro dei confini e mi fa arrabbiare ancora di più che qualcuno possa pensare che esistano dei libri scritti apposta per noi e che, guarda caso, quest'ultimi riguardano sempre una donna in crisi che poi, alla fine della fiera, trova l'amore. Perché è quello che vogliamo no, il principe azzurro? Oppure Mr Gray se siete galline 2.0...
Detto questo, ogni tanto mi capita di leggere un libro di questo genere (genere?! un romanzo, punto) e sono sempre felice quando vengo piacevolmente e inaspettatamente colpita, come con quest'ultimo: “Elegance” di Kathleen Tessaro.
Ho deciso di leggerlo perché la protagonista, in crisi sia dal punto di vista professionale che dal punto di vista affettivo, intraprende un cammino di trasformazione grazie a un libro, un trattato di eleganza. Sulla questione che i libri ti cambiano la vita non c'è molto da aggiungere.
Non ho mai nascosto la mia passione per il galateo e per tutto ciò che gli sta attorno, così come ormai da un paio d'anni a questa parte io sia alla ricerca del bello nella vita in tutte le sue forme, tra cui anche nel vestire. Il nostro modo di agghindarci, il nostro modo di portare un capo piuttosto che un altro, sono il nostro biglietto da visita, come noi decidiamo di presentarci al mondo e si, sono fermamente convinta che l'abito fa il monaco, o almeno parla per lui: quello che decidiamo di indossare dice qualcosa di noi, che se ne sia consapevoli oppure no. Attenzione, non sto parlando di moda, ma di stile: le mode passano, lo stile rimane.
Essere elegante è solo questione di avere voglia di fare uno sforzo in più ed entrare nello spirito delle cose – della vita – con entusiasmo e grazia.
Lungi da me dare lezioni di stile, ognuno è libero di fare, vestirsi (e leggere!) ciò che gli pare. All'interno di questo libro, però, ho trovato molti pensieri che risuonavano con il mio modo di vedere e sentire. Ad esempio l'orticaria che provo verso le mode e il vestirsi tutti uguali perché così dicono le riviste, gli stilisti, le fashion-blogger, le influencer, bla bla bla...
Grazie agli alti standard di vita dell'Occidente e al grado di perfezione delle mode di massa, a un osservatore poco esperto potrebbe sembrare che tutte le donne siano vestite allo stesso modo. Non conosco l'origine di questa moderna forma di modestia che si è diffusa nella popolazione femminile da San Francisco a Parigi e che sembra far sì che tutte le donne vogliano assomigliarsi, anche se nel contempo spendono sempre di più in abiti, cosmetici e parrucchieri! Ma se davvero vi fa piacere essere vestite esattamente come chiunque altra, allora il vostro futuro è roseo. L'uniformità è il sottoprodotto naturale di una società automatizzata, e chi lo sa, forse un giorno la personalità sarà considerata un crimine. Nel frattempo, potete sempre entrare nell'esercito.

Dentro,fuori, non fa alcuna differenza... «Confondersi è da ragazzine. Essere diverse non è un crimine, mia cara, ma un vantaggio... Faccia le cose con stile, Louise. Il suo stile.»
Ad esempio, io al mio stile ho voluto dargli un nome: sporty-chic e in questo libro ho trovato una definizione a cui voglio tendere il più possibile.
Una persona sportiva sa qual è il suo posto, non dà troppa importanza alle cose, perde con disinvoltura, continua a tentare, non mette il muso e non prende i suoi giocattoli e corre a casa. Una persona sportiva non è come dire un vincitore.
E voi, che stile volete dare alla vostra vita?