venerdì 28 marzo 2014

Le parole addosso 22

Sono giorni complicati, in cui spesso mi sento mancare il terreno sotto i piedi, mi manca il respiro, ho la nausea e lo stomaco chiuso. Ma in alcuni momenti vorrei anche spaccare tutto, nello specifico la faccia di qualcuno; sono arrabbiata, tanto arrabbiata.
Uno di questi giorni però, dopo l'ennesimo rospo da mandare giù, mi sono detta che non potevo permettere a nessuno di rovinarmi la giornata, che dovevo fare qualcosa per renderla bella, comunque e nonostante tutto.
Così sono uscita, perché ormai i nonni-sitter li avevo precettati, perché ormai ero vestita di tutto punto, perché camminare mi fa bene.
Ho preso la macchina fotografica e sono andata a fare una cosa che dovevo fare già da qualche giorno; delle foto da mostrare a voi, da appendere alle pareti di questa stanza tutta per me.
Ormai sapete del mio amore per le care e vecchie lettere scritte a mano, immaginate che gioia per gli occhi trovare questo bellissimo portafoglio esposto nella vetrina di un negozio che amo molto, dove ho fatto anche la lista nozze, oltre a comprare diversi complementi di arredo per la nostra casa.




Ringrazio di cuore la commessa gentilissima che non mi ha guardata come una pazza quando le ho chiesto di poter fare delle foto, che non ha battuto ciglio quando sono tornata indietro perché avevo dimenticato il biglietto da visita, e che non mi ha fatto notare che, non solo non le ho chiesto il suo nome, ma non mi sono nemmeno presentata a mia volta. Vorrei dirle che non sono maleducata, ero ancora un po' annebbiata dalla rabbia, ma uscita dal negozio questa era svanita e anche un po' grazie a lei, ora quel giorno è stato un buon giorno.


Pink Martini
Interior Design
Via Fratelli Piol, 16/b
10098 Rivoli (TO)
Tel. 011 9534484
rivoli@pinkmartini.it


mercoledì 26 marzo 2014

Per rimediare all'esistenza

Ma esistono “i lettori”?
Me lo chiedo spesso, me lo chiedo ora.
E se esistono davvero, chi sono?
Cercano, in un libro, una personalità?
La temono?
Davvero: chi siamo? Mi ci metto anch'io, naturalmente: che cosa cerco, in un libro? Che cosa non accetto? In che modo ho qualcosa a che fare, per esempio, con tutti gli appassionati come me di Philip Roth? In che misura faccio parte dell'esercito dei “suoi lettori”? Che cosa ho, nel profondo, in comune con loro? E che cosa non ho, nel profondo, in comune con gli appassionati di Asimov, da cui non sono mai riuscita a farmi conquistare del tutto? Penso al lettore di Asimov più fedele che conosco e penso a quello che mi ha contagiato con il suo amore per il vecchio Philip. A chi somiglio di più, dei due? A entrambi. A nessuno.
Siamo diversi, appunto. Molto diversi fra noi. Leggiamo per noia, per curiosità, per scappare dalla vita che facciamo, per guardarla in faccia, per sapere, per dimenticare, per addomesticare i mostri fra la testa e il cuore, per liberarli.
Non ci somigliamo per niente anche se teniamo in mano, amiamo, detestiamo, e se per Natale regaleremo a chi ci è più caro, lo stesso libro.
Non ci somigliamo per niente.
Fatalmente, è proprio per questo che, sì: non c'è dubbio.
Esistiamo.
Ed è questo, forse, che intende la mia editor, quando mi suggerisce di pensare ai lettori.
E' un modo per dirmi sceglilo tu, tu e basta, il titolo, scegli tu ognuna delle parole del tuo nuovo romanzo, perché siano ognuna uguale solo a se stessa.
Com'eravamo noi, tutti, in quella fila, dietro o davanti alla cassa. Uguali solo a noi stessi, con la speranza di affidare a un'altra storia la nostra. Per perderla, per ritrovarla.
Per rimediare, in qualche modo, all'esistenza.

Chiara Gamberale


venerdì 21 marzo 2014

Le parole addosso 21

I have a dream... Decine e decine di persone con indosso magliette come quella nella foto; gente da importunare, con cui attaccare bottone e finalmente parlare di libri.

  • Il rosso e il nero” giace in attesa da anni nella mia libreria. Me lo consigli?
  • Ho adorato “Chiedi alla polvere”, anche tu?
  • Il deserto dei Tartari” mi ricorda tanto il liceo...

E così, all'infinito. Amicizie nate in coda alla posta, storie d'amore alla fermata del bus, club del libro al banco dei salumi.
Il capo must have della primavera estate 2014 è la Bookstee.

(Ringrazio Zelda was a writer per avermi concesso di utilizzare una sua fotografia. Qui il suo bellissimo post dove ho scoperto la bookstee e dove troverete tutte le informazioni per procurarvene una).

Questo fine settimana tutti con il naso negli scaffali delle nostre librerie, che non è mica facile scegliere quali libri indossare!


mercoledì 19 marzo 2014

Lettera al padre di mia figlia


Ricordo che un giorno, molto tempo fa, quando ancora non avevamo deciso di avere un figlio, ti ho fatto promettere che, se fosse stata una femmina, tu l'avresti fatta sentire una principessa. Forse è stato il giorno in cui, per gioco, abbiamo scelto i nomi, uno per il maschio e uno per la femmina. Te lo ricordi? Durante la nostra prima vacanza insieme, dopo pochi mesi in cui ci frequentavamo. E i nomi sono sempre stati quelli, per tutti questi anni. E io non ho cambiato idea, per tutto questo tempo, sulla questione della principessa, solo che ora so che è stato superfluo chiedertelo. Non ho bisogno di domandarmi se VV incontrerà mai il principe azzurro, perché so che l'ha già fatto. Sei tu.
Con l'avvicinarsi della festa del papà non ho smesso un attimo di interrogarmi su questo ruolo, che cosa comporti, le differenza da quello della madre, ma non sono riuscita ad avere un idea chiara. Non lo so che cosa significhi essere un padre. Proprio non lo so. Mi vengono in mente gli stereotipi di cui si parlava durante la conferenza a cui abbiamo preso parte, banalità senza senso.
Quello che sei però, l'uomo che sei, come un uomo ama una donna, quello glielo puoi insegnare solo tu. E così, oggi, pensavo questo: quanto è fortunata Vittoria a crescere con l'amore di un uomo, di un padre, così.

lunedì 17 marzo 2014

La vita. Bellissima. Implacabile.

Me lo sono fatta regalare perché speravo che mi aiutasse a risolvere quello che è, dopo l'insicurezza, il mio difetto peggiore: la scontentezza.
I libri curano? Io penso di sì. Magari non ti fanno guarire, ma placano temporaneamente il dolore e ti danno modo di intraprendere il cammino verso la guarigione. Solo che alle volte c'è bisogno di tempo, tanto tempo. Alle volte ti sei avviato, hai fatto i primi passi, ma non lo sai, non te ne rendi ancora conto. E forse questo è un bene. Come nelle diete, i chili è meglio perderli un po' alla volta, che tutti in una volta sola.
Quindi io non lo so, l'effetto che mi sta facendo “Per dieci minuti” di Chiara Gamberale. So che l'ho divorato, l'ho letto in pochissimo tempo.
Apro una parentesi: i capitoli brevi aiutano, è un trucco che gli scrittori dovrebbero utilizzare più spesso, così la scusa «non ho tempo per leggere» cade miseramente. Con i capitoli brevi io leggo ancora di più; ho questo vizio, soprattutto la sera quando sono stanca, di andare a vedere quante pagine mi aspettano e se sono troppe non inizio neanche. Non mi piace lasciare un capitolo a metà. Se le pagine sono poche leggo e poi va finire che: «ma sì, ne leggo ancora uno» e poi un altro, un altro e un altro...
Comunque, dicevo, è stata una lettura piacevole, ogni capitolo una piccola rivelazione. Non è solo la protagonista a provare ogni giorno a fare qualcosa di nuovo, per dieci minuti, sei anche tu a farlo insieme a lei e a provare, anche se per finta, l'effetto che fa. Uno dovrebbe tentare per davvero a fare qualcosa di nuovo tutti i giorni, soprattutto le persone abitudinarie come me... Altra parentesi: ma quanti difetti ho?! Più che una recensione questa si sta rivelando una seduta di auto-analisi! Ma è anche questo il bello no, dei libri? Che ci fanno riflettere, che ci aiutano a comprendere e a comprenderci, che ci fanno sentire meno soli. I libri ci fanno provare qualcosa di nuovo, anche se li leggiamo il tempo di un capitolo, per dieci minuti.

Venendo al mondo, riceviamo in dono uno strumento bello: dobbiamo essere alla sua altezza.
Oltre che bello è delicatissimo, quello strumento: nostro, solo nostro, il compito usarlo con potenza.

Ma sì, si. Eccola.
Mi appare: la vita.
Per tutti.
Implacabile.
Sempre uguale.
Implacabile perché sempre uguale.
La nostra vita sempre uguale.
Bellissima.
Implacabile.

E penso a quello che ho vissuto, a quello che vivrò, a quello che sto vivendo adesso.
Perché nelle infinite semplificazioni con cui crediamo di metterci in salvo e dentro cui invece ci perdiamo, c'è una cosa, una soltanto, che non può venirici dietro, che non possiamo ingannare.
Questa cosa è il tempo.
Che è qualcosa di pochissimo, se siamo felici.
E' qualcosa di tantissimo, se siamo disperati.
Comunque sta lì.
Con una lunga, estenuante, miracolosa serie di dieci minuti a disposizione.

venerdì 14 marzo 2014

I'll build a Castle


Ogni tanto non ho idee. Oppure le ho ma mi manca l'ispirazione, o il tempo, o la voglia (quanto tempo è che non gioco a vegeto davanti alla televisione...)
Ma oggi (voi lo leggerete domani, cioè di venerdì) è stata proprio una buona giornata e ho voglia di darmi una pacca sulla spalla per come ho gestito una situazione che, di solito, mi avrebbe mandata nel panico più totale. Ho solo fatto la prima mossa di quella che si prospetta una partita a scacchi, potrei perdere ma la verità è che ho già vinto, con me stessa. E voglio scriverlo, per ricordarmelo, per tutti quei momenti in cui ricadrò nel mio solito buco nero da pessimista cosmica senza autostima quale io spesso sono.
Non lo so come ho fatto ad auto sabotarmi, ma ci sono riuscita e per questo mi merito una pacca sulla spalla e magari anche un “dammi un cinque”.
Voglio ringraziare i miei pensieri felici (mio marito e mia figlia), la giornata di sole e una canzone arrivata al momento giusto, poco prima di parcheggiare, che mi ha detto di fare di questo giorno un giorno speciale, in cui avrei lottato e non avrei mollato.

Stones in the road? I save every single one, and one day I'll build a castle.

Nemo Nox
E, nell'indecisione, vi auguro un fine settimana con qualche pietra ma soprattutto pacche sulle spalle.

(Foto scattata subito dopo la mia mossa di scacchi, non ero solo io l'incredula!)


lunedì 10 marzo 2014

La sensazione indimostrabile

Da bambina aveva un forno preferito dove comprava la merenda tutte le mattine prima di andare a scuola, e le piaceva da matti entrare e sentire il calore del pane. Un incontro, ecco cos'era, aveva deliberato qualche anno dopo, quando aveva imparato a dare i nomi alle cose. Io la mattina incontravo il pane.
E un incontro è “Mancarsi” di Diego De Silva. Una storia di sole 98 pagine, ma dove c'è tutto, non una parola di più, non una di meno; tutto perfettamente calibrato e pesato. Una pagnotta perfetta, per restare in tema.
Nicola e Irene, i protagonisti del romanzo, ti sembra di conoscerli da sempre, da quanto sono precise le pennellate con cui li descrive.  Eri lì quando Nicola si è sposato, nella sala del comune; lì a sentire Nicola rispondere: «Si, lo sono» quando gli avevano chiesto se era contento di sposare Licia. Lì a interrogarti se fosse proprio sicuro, perché tu tanto bene insieme proprio non ce li vedevi. Eri lì quando Irene ha capito che non amava più suo marito e ha deciso di andarsene; anche in questo caso a pensare che tu l'avevi sempre sospettato. Sei presente nelle tappe più importanti della loro vita, così bella e così implacabile; uno di quei libri che ti fa pensare che c'è solo un modo, c'è una sola via da percorrere.
Così rimani, inchiodato, ad osservare De Silva preparare gli ingredienti, pesarli, miscelarli, aspettare che il lievito faccia il suo dovere, poi impastare, infornare e attendere nuovamente. Senti con lui il profumo riempire lentamente la stanza, vedi la pagnotta crescere, dorarsi e creparsi leggermente. Lo osservi e non fai domande, capisci che lui sa perfettamente quello che sta facendo, dove ti sta conducendo e quando sarà l'ora di sfornare questa pagnotta perfetta.
Tu non devi fare altro che seguirlo, senza fare domande. E avrai tutte le risposte.

...la sensazione indimostrabile che qualcosa ti stia per arrivare addosso.

venerdì 7 marzo 2014

Perfino nauseato

Ieri ho trascorso, dopo non so quanto tempo, un intero pomeriggio in biblioteca. In mezzo agli studenti che studiavano, ai pensionati che sfogliavano i quotidiani e al silenzio, interrotto solo da quei pochi che vagavano per gli scaffali, alla ricerca del prossimo libro da leggere.

In parole povere, i compiti da svolgere sono soltanto due. Rimettere i libri sugli scaffali o inviare con il montacarichi da uno dei piano superiori quelli appena richiesti al banco principale. Ogni mansione ha vantaggi e svantaggi, e ciascuna può essere svolta da chiunque abbia le capacità cerebrali di un moscerino della frutta.
Quando riponi i libri sugli scaffali devi confermare e poi riconfermare che il numero decimale Dewey del libro che stai mettendo via sia maggiore di un'unità del libro alla sua sinistra e minore di una di quello alla sua destra. I libri vengono caricati su un carrello di legno a quattro ruote, più o meno da cinquanta a cento volumi per seduta di archiviazione, e mentre guidi il piccolo veicolo nel labirinto di scaffalature sei solo, sempre ed eternamente solo, in quanto le scaffalature stesse sono inaccessibili a tutti salvo il personale della biblioteca, e l'unica altra persona che vedrai sarà uno dei tuoi colleghi fattorini, di servizio alla scrivania di fronte al montacarichi. Ciascuno dei diversi piani è identico a tutti gli altri: uno spazio grandissimo, senza finestre e pieno di file su file di imponenti scaffalature di metallo grigio, ciascuna stipata all'inverosimile di libri, migliaia di libri, decine di migliaia di libri, centinaia di migliaia di libri, un milione di libri, e a volte anche tu, che in quanto ad amore per i libri non hai niente da invidiare a nessuno su questa terra, ti ritrovi esterrefatto, angosciato, perfino nauseato quando pensi ai miliardi di parole, ai trilioni di parole contenute da questi libri.

Paul Auster
Vi auguro un fine settimane sommerso da parole, trilioni di parole, fino alla nausea.

mercoledì 5 marzo 2014

So unsexy

Premessa: questo post l'ho scritto qualche giorno fa poi, per una serie di congiunzioni astrali, non ho potuto pubblicarlo. Avrete notato che sto cercando di scrivere con una certa costanza, di preciso il lunedì, il mercoledì e il venerdì. Quindi sì, programmo i post, magari li scrivo di getto ma poi decido io quando pubblicarli. Insomma, pareva brutto fare uscire l'ennesima lagna in un giorno di festa per me e mio marito (anche se ormai credo lui ci abbia fatto il callo, alle mie lagne... Forse anche voi, ora che ci penso...). Però ormai l'ho scritto e voglio condividerlo.

E poi ci sono giornate così, in cui tutti sono più bravi, belli, interessanti e intelligenti di te. Giorni in cui ti senti poco desiderabile, inutile e inconcludente. Dove sei tu la prima a non piacerti, a non volerti, a non amarti.
Solo che non lo sai, non te lo sai spiegare. O forse non lo vuoi ammettere. Perché non è bella l'invidia, non è una cosa di cui andare fieri. Ma poi ascolti le parole di una canzone e non hai più scuse, quella canzone parla di te a te. La cruda verità. Vai anche a cercare il testo, per essere sicura di aver capito bene. E sì, proprio non ti sbagliavi.

Oh these little rejections how they add up quickly
One small sideways look and I feel so ungood

Oh these little rejections how they seem so real to me

How these little abandonments seem to sting so easily
I'm 13 again am I 13 for good?

I can feel so unsexy for someone so beautiful
So unloved for someone so fine
I can feel so boring for someone so interesting
So ignorant for someone of sound mind

Oh these little protections how they fail to serve me

Oh these little defenses how they fail to comfort me

When will I stop deserting baby?
When will I start staying with myself?

Oh these little projections how they keep springing from me
I jump my ship as I take it personally
Oh these little rejections how they disappear quickly
The moment I decide not to abandon me

Alanis Morissette
E aspetti con ansia e trepidazione, il momento in cui non diserterai te stessa, in cui inizierai a stare dalla tua parte, in cui deciderai e riuscirai a non abbandonarti. Ora, almeno, sai che non sei la sola ad essersi sentita così.


lunedì 3 marzo 2014

Ancora ci aspettano

Non hai ancora letto il mio ultimo libro?” mi ha chiesto il grande Alberto Arbasino quando ho avuto l'occasione di conoscerlo personalmente. “Beata te” ha sospirato.
Perché, in effetti, il meglio della vita sta in tutte quelle esperienze interessanti che ancora ci aspettano...
Dunque sta anche nei libri che tutti hanno letto, ma che per qualche imprecisato motivo noi ancora no.

Chiara Gamberale
Il meglio della vita sta nei capitoli che abbiamo già scritto e in quelli ancora da scrivere, del libro del nostro amore.

Buon tretre, amore mio.