venerdì 14 febbraio 2020

Amore e ginnastica


Qual è il ricordo più dolce che avete di San Valentino?
Io quello di una ragazzina alle prese con le sue prime esperienze d'amore, anzi, sarebbe più corretto dire alle prese con l'assenza di queste ultime. Ricordo di come mi lamentassi in famiglia perché non piacevo a nessuno, nessuno era innamorato di me, tutte apparentemente avevano uno spasimante e io no. Tempi in cui tra l'amare e l'essere amata sceglievo sicuramente quest'ultimo, di quando l'amore era vissuto quasi come un riconoscimento e il fine ultimo era sbandierarlo e vantarsene con le amiche. Ma cosa avrei mai potuto raccontare il giorno dopo? Niente, come quello che avrei ricevuto io.
Giunto il tanto temuto giorno degli innamorati, di ritorno da scuola, dove non avevo ricevuto nulla ovviamente, trovai ad attendermi nella buca delle lettere un bigliettino. Riconobbi subito la scrittura e ricordo che pensai sorridendo “Non vale...”. E sorridente, anche un po' sardonico, trovai in casa ad aspettarmi il mittente: mio fratello maggiore. Non sono sicura infatti il suo intento fosse completamente privo di ironia (c'erano troppi love, love, love), ma ricordo il sorriso che mi regalò e la realizzazione del fatto che ero amata, anche se non da un fantomatico “fidanzatino”.


Una storia d'amore originale è quella che ho letto questa estate e che vi propongo oggi: “Amore e ginnastica” di un poco convenzionale Edmondo De Amicis.
Cosa avrà mai di speciale la signorina Pedani, insegnante di educazione fisica dal fisico atletico e il piglio mascolino? Uomini di ogni genere ed età, colleghi e studenti, cadano ai suoi piedi ma lei non sembra farci caso. Intrecci ginnici e mentali fino al finale più insospettato e meno prevedibile, quando la protagonista compierà la sua scelta. Una piccola chicca di humour ambientata principalmente in una piccola palazzina nel cuore di Torino, con una descrizione divertita del mondo scolastico, ben lontana da quella del libro “Cuore”, e una carrellata di personaggi non convenzionali; una storia divertente sulla natura dell'amore, fisico e non fisico. Per gli amanti di Admondo De Amicis, per scoprirlo in questa sua nuova veste: non a caso Italo Calvino volle includere questo racconto lungo, pubblicato dall'autore quasi clandestinamente, nei suoi “Centopagine” per rilanciare e svecchiare l'opinione su uno scrittore troppo a lungo considerato un pio trombone paternalista. Nel 1973 ne fu tratto anche un film.

Buona festa degli innamorati!

lunedì 3 febbraio 2020

Finestre di Manhattan


New York, volenti e nolenti, fa così parte delle nostre vite e del nostro immaginario che è difficile immaginare ci sia ancora qualcosa di nuovo da dire. Che ci sia stati oppure no, ci sembra di conoscerla come le nostre tasche e ascoltiamo dubbiosi, a tratti anche annoiati, chi vuole raccontarcela, illudendosi di poterci sorprendere. Figurarsi chi inizia il racconto affacciandosi a una finestra di un albergo qualunque e che da su un cortile interno: muri di mattoni neri di fuliggine, ventole di aerazione, molti piani sopra a nascondere il cielo.
Quella che racconta all'inizio di “Finestre di Manhattan” è la prima di molte notti che l'autore spagnolo, Antonio Muňoz Molina, trascorrerà nella grande mela. Ed è la prima delle molte finestre a cui si affaccerà e da cui racconterà questa enorme e instancabile città.
Lo farà anche passeggiando senza meta per le sue strade, dai battelli che portano in giro i turisti, in attesa alla fermata della metropolitana, in visita ai numerosi musei, seduto a un tavolino di un locale jazz, o in una poltrona di uno spettacolo a Broadway, il giorno del crollo delle Torri Gemelle.
Ci troverete tutti i cliché, tutti i luoghi più turistici di New York, tutto quello che avete immaginato o visto della città. Eppure ci troverete molto, ma molto di più. Lo sguardo profondo dell'autore, capace di far scaturire riflessioni sulla vita dalla più banale delle viste e di fotografare con le parole.
Siamo stati di nuovo, metodicamente, senza rimorsi, turisti a Manhattan, siamo saliti di nuovo sull'Empire State e abbiamo atteso, appoggiati al parapetto di South Seaport, che si accendessero le ghirlande di luci del ponte di Brooklyn. Abbiamo fatto il giro dell'isola su un battello turistico, circondati da giapponesi che scattavano foto mentre scendevamo lungo la foce dell'Hudson fino alle macerie fumanti delle Torri Gemelle. Abbiamo passeggiato in Times Square nell'ora di punta di un sabato sera e abbiamo attraversato a Central Park, la domenica mattina, la distesa verde e serena dello Sheep Meadow, affinché loro [i figli dell'autore] potessero vedere l'orizzonte complicato e magnifico dei grattacieli.
E adesso hanno fatto il volo di ritorno sul nero dell'oceano Atlantico, sono rientrati in quella metà delle loro vite..., in scenari familiari che adesso guarderanno in un altro modo, perché li vedranno con gli occhi di chi è stato molto lontano e torna cambiato, serbando ancora vivide nella memoria le impressioni del viaggio, pietre di paragone che permetteranno loro di osservare per la prima volta con un certo distacco i luoghi consueti, la vita lasciata in sospeso il giorno della partenza... ciò che hanno visto qui e che pareva irreale e ormai sembra accaduto da molto tempo.
È un racconto lento, quasi a seguire il ritmo del passo dell'autore che percorre le avenue con qualsiasi clima o tempo, quasi a seguire la lentezza di uno sguardo che scorre lento su cose e persone e si prende tutto il tempo necessario per soffermarsi ad osservarle. Potreste quasi avere l'impressione di annoiarvi in alcuni punti ma, quando meno ve lo aspetterete, esattamente come quando si svolta un angolo di un grattacielo mentre si cammina, qualcosa arriverà a sorprendervi.
...che cosa ci faccio qui, con questo quaderno aperto sulle ginocchia, intento a fissare su un foglio di carta e con un sottilissimo filo di inchiostro il momento in cui vivo e le cose che vedo, servendomi delle parole, così astratte,..., per ottenere la precisa descrizione di un istante che mi sfuggirà per sempre, per catturare quel che avviene qui e ora, come la signora Dalloway tentava di afferrare contemporaneamente e in tutti i particolari le impressioni di una mattina di giugno in una strada di Londra.
Guardo e scrivo. Mi piacerebbe che la mano avanzasse da sola, automaticamente, in modo che gli occhi potessero non staccarsi mai, neppure per un attimo, dallo spettacolo che nutre l'intelligenza e la scrittura.
Pronti a innamorarvi o riinnamorarvi di New York? Buon viaggio.