mercoledì 30 settembre 2015

Una cosa che non avevo mai fatto


Questa estate ho fatto una cosa che non avevo mai fatto prima.
VV ama molto leggere i libri e farseli leggere; arriva ad impararli a memoria e forse è proprio questo il suo scopo. Le piace così tanto che sovente capita che siamo noi per primi a dire: «No, dai, giochiamo un po'». Bello leggere eh, ma quando diventa troppo ripetitivo, lo stesso libro trilioni di volte, diventa per assurdo, per quanto si ami la lettura, noioso.
Fino a questa estate però, VV non mi aveva mai vista leggere. Sapeva che leggevo perché vedeva i libri sul comodino (puntuale come noi timbriamo il cartellino al lavoro, lei toglie il segnalibro, tutte le volte che ci capita davanti) ed era consapevole fossero i miei, ma non ne avevo mai aperto uno con lei presente. Non posso dire che non mi era possibile farlo perché non ci avevo neanche mai provato. Semplicemente, ingenuamente, davo per scontato fosse una di quelle cose che non sarei riuscita a fare con lei. Avevo relegato la lettura ai momenti in cui VV dormiva.
Questa estate però, senza motivo se non che avevo voglia di farlo, un giorno ho preso il libro e le ho detto che mamma avrebbe letto un po'. Lei non ha avuto nulla da obiettare anzi, ha aggiunto: «Leggo anch'io» ed è andata a prendere alcuni suoi libri per poi venire a sedersi vicino a me. Se sono rimasta stupita? Altroché! E mi sono anche data della sciocca per non averlo fatto prima; quante occasioni andate perse!
Non immaginatevi lunghe ore a leggere, spesso e volentieri vengo interrotta, leggo la stessa frase cento volte, perdo il filo e torno indietro ma pensate la mia gioia quando lei per prima un giorno mi ha detto: «Facciamo un po' di lettura?». Ci sono quindi anche giorni fortunati, in cui a lei basta avermi lì, accanto a lei, anche se sono immersa in un libro, e a me è sufficiente leggere anche solo un paragrafo per ricaricarmi, sentire di aver dedicato del tempo a me ed essere pronta al cento per cento per dedicarmi a lei. Basta così poco...
Riflettevo, allora, su chissà quante volte ci imponiamo dei limiti che non esistono, rinunciamo ancora prima di provarci, vediamo steccati dove non ci sono. Soprattutto, pensavo a come ho sbagliato sottovalutando VV e la sua capacità di comprendere, di auto intrattenersi, di essere autonoma, di imparare dal mio esempio, di apprezzare la mia presenza anche se non mi sto dedicando al cento per cento a lei. Spero di aver imparato da questa esperienza e di non commettere più errori simili in futuro. Per me e per VV.

Le più belle parole sono i fatti.

lunedì 28 settembre 2015

Comunque sarà gloria

 

E così è arrivato l'autunno. Programmi? I buoni propositi li abbiamo già condivisi; idee invece su come trascorrere questa nuova stagione? Ci pensavo e ripensavo, a quello che ci aspetta, le cose belle come i colori infiammati delle foglie, le castagne, il piacere di indossare i primi maglioni, quello di accoccolarsi sotto una coperta, tenere in mano una tazza fumante di tè. Ma anche gli aspetti brutti come le giornate più corte, il brutto tempo, i primi malanni (qui non abbiamo perso un attimo, il raffreddore ha bussato alla porta la sera della vigilia), la minore possibilità di stare fuori. In mezzo a tutto questo, per me, si prospettano settimane impegnative, un cammino fatto di incognite, passi incerti e un po' di affanno. Basta poco per soccombere, per vedere solo il lato nero, il bicchiere mezzo vuoto. Ho avuto un assaggio anche di questo e non mi è piaciuto, non voglio più cadere, ogni volta rialzarsi diventa sempre più difficile. Sento di avere risorse sufficienti in me e voglio utilizzarle per non affondare, voglio usarle prima per prevenire e non dopo per curare. Sento che è giunto il momento di dimostrare a me stessa quanto posso essere forte, propositiva, che so agire e non solo subire gli eventi. Ma voglio anche avere i piedi ben piantati per terra, essere realistica e non fare voli pindarici con la mente.
Continuavo a pensarci ma idee concrete per questo autunno non arrivavano. Poi mi sono domandata: ma la natura d'autunno che fa? Si prepara a morire. Semplice e tragico. Non si fa mille seghe mentali, non piange su quello che poteva essere e non è stato, non si preoccupa di quello che sarà. Si incammina verso la morte. Si abbandona al suo destino e lo fa in tutto il suo splendore, con tanto di fanfara. Si veste d'oro e bronzo. E' bellissima. Lo fa perché sa che solo così potrà rinascere a nuova vita.
Ho scoperto di essere in perfetto orario. Ho intrapreso un cammino, alla ricerca di una nuova vita e una nuova me stessa. Ora è giunto il momento di lasciarmi un po' morire. Devo solo proseguire, non devo inventarmi nulla, non devo scovare nessuna strategia, nessuna idea. Farò come l'autunno, mi vestirò d'oro e di bronzo e cercherò di risplendere. Sarò bellissima anch'io, mentre muoio.
E levo questa spada
Alta verso il cielo
Giuro sarò roccia contro il fuoco e il gelo
Solo sulla cima
Attenderò i predoni
Arriveranno in molti
E solcheranno i mari
Oltre queste mura troverò la gioia
O forse la mia fine comunque sarà gloria

Marco Mengoni

venerdì 25 settembre 2015

La bambina con il lupo dentro



Molte case editrici si trovano anche su Instagram; questo è un modo veloce ed efficace per essere sempre aggiornata sulle nuove pubblicazioni, una fortuna e una disgrazia visto che la tentazione di comprare tutto è sempre molto forte.
Quando ho visto nell'account di Rizzoli la fiaba “Virginia Wolf. La bambina con il lupo dentro” non ho potuto resistere. Una fiaba basata sulla mia scrittrice preferita! Chissà cosa avrebbe raccontato di bello, non vedevo l'ora di leggerla; le illustrazioni poi mi sembravano davvero belle, le mie mani prudevano dalla voglia di sfogliarlo!
Nella mia ingenuità pensavo che VV si sarebbe limitata a guardarlo, non credendola ancora pronta per testi così lunghi. E invece... come per ogni libro a cui si appassiona, ora lo stiamo leggendo e rileggendo, fino a quando non l'avrà imparato a memoria e potrà leggerlo da sola.


Temevo anche che il tema trattato fosse troppo difficile per lei, un po' forte come argomento. Ma pensandoci bene la malinconia è un sentimento come un altro ed è giusto che i bambini siano in grado di conoscerli tutti, non solo quelli belli. Quale miglior modo di parlarne se non attraverso un libro? A maggior ragione poi se, come VV, si ha la sfortuna di crescere accanto a una mamma che questo lupo, dentro, ce l'ha forse un po' troppo di frequente e che io stessa per prima spesso non so che nome dargli.

 
Ora entrambe sappiamo che è un lupo, che quando arriva non si è quasi mai in grado di spiegare bene come e perché, che ti fa venire voglia di stare da sola, nasconderti sotto le coperte e non parlare con nessuno, che ti fa vedere tutto grigio e triste, che ti fa credere che per risolvere tutto basterebbe volare in un posto lontano di nome Bloomsberry, ma questo posto non esiste, bisogna inventarselo. Ed è quello che stiamo facendo insieme, io e lei.


Questo libro non poteva fare regalo migliore, a me e a VV.


mercoledì 23 settembre 2015

Tempo


In questi giorni in cui la vita sembra divertirsi a tirarmi scherzetti poco simpatici per mettermi alla prova, voglio ricordarmi che le cose non pianificate sono le migliori, minimo sforzo massimo risultato.
In un ultimo entusiasmo di fine estate un giorno abbiamo caricato figlia e bagagli e ce ne siamo andati in Abruzzo, dai parenti di mio marito che da due anni ci chiedevano insistentemente: «Quando ce la fate conoscere, queste bambina?!». «Questo fine settimana» abbiamo risposto, sorprendendo tutti.
Tempo per noi, tempo per oziare, tempo per giocare. Ci siamo regalati tempo.

(Abbiamo fatto il pieno di sole)
 
(Dove nasce il fiume Pescara)
 
(Gli immancabili giardinetti)
 
 (Il battesimo degli arrosticini)
 
(Noi. E lo sguardo sempre rivolto a lei.)
 
 
 
 

lunedì 21 settembre 2015

Ogni maledetto giorno


Cascasse il mondo, ogni pomeriggio, appena VV si addormenta, io mi siedo davanti al computer. Lo faccio senza se e senza ma, alle volte non sparecchio neanche la tavola, quante volte mi sono ritrovata a farlo mentre VV fa merenda. Fanculo la vita Pinterest. Scusate il termine.
Questo blog, scriverlo, è il mio ossigeno, la mia terra, la mia acqua, il mio fuoco. Pagherei pur di non smettere di farlo, altro che farmi pagare... Ognuno ha il suo modo di nutrire il proprio sé. Scrivere questo blog, insieme al leggere, è il mio. E' strano come sia facile trascurare se non addirittura abbandonare le cose che ci fanno stare bene, che ci fanno vivere. Come l'abnegazione, il sacrificio, il votarsi completamente al 100% a tutt'altro ci renda ciechi verso noi stessi, smettiamo di nutrirci, ci facciamo morire di fame. Dentro. Non ce ne rendiamo nemmeno conto anzi, siamo i primi a giustificarci dietro un muro di scuse, dal più comune «non ho tempo» al più subdolo e infido «non sono così egoista».
Ma questo non è egoismo, è sopravvivenza. E' vita. Dovessi morire domani sarei felice perché la mia cucina è in ordine e linda o perché ho passato i miei ultimi respiri scrivendo e leggendo? E la mia bambina preferisce una cucina pulita o una mamma che quando si sveglia l'accoglie con il sorriso perché è felice di come ha passato il tempo mentre lei dormiva? Si parla così tanto dei doveri, mai di quelli verso noi stessi.
Ci ho impiegato due anni a capirlo, ho dovuto toccare il fondo, sentirmi dire dall'osteopata (l'osteopata?!) «sei svuotata». Mi stavo facendo morire di fame.
Non è facile, alle volte mi siedo davanti al pc senza avere la più pallida idea di cosa scrivere ma ben in mente le mille cose che avrei da fare in casa. La vocina che mi rimprovera perché mi trastullo, che mi fa vergognare perché «si, insomma, il blog è un passatempo» è sempre bella squillante nelle mie orecchie. Sto imparando a non ascoltarla.
Qualcuno ha tempo da perdere per criticarmi o prendermi in giro? Faccia pure, non sono un premio nobel della letteratura e per questo dovrei smettere? Ho deciso di smettere di vergognarmi, io ho una cosa più importante da fare: rendermi felice. Vestirmi e truccarmi tutte le mattine sarà una vanità, ma mi rende felice guardarmi allo specchio e mi aiuta ad amarmi. Scrivere questo blog può sembrare futile ma mi da gioia e mi fa sentire viva, in dialogo finalmente con la me stessa più profonda.
Ho intenzione di farlo, ogni maledetto giorno.

venerdì 18 settembre 2015

Un'orsetta a Berlino


Vittoria in viaggio e poi a Berlino è stata brava, bravissima; e non lo scrivo perché ogni scarrafone è bello a mamma sua, ma come una constatazione, perché non avevo la più pallida idea di come sarebbe andata. Vittoria sa essere molto brava e molto spesso lo è ma, quando non lo è, raggiunge delle vette altissime (o bassissime dovrei dire, raggiunto il fondo incominciamo a scavare...). Tutto questo non è prevedibile e quindi evitabile così, come per me stessa, anche nei suoi confronti non ho voluto crearmi aspettative né partire prevenuta. Ero solo molto motivata nel cercare di fare tutto il possibile per rispettare i suoi tempi e le sue esigenze, con la speranza che questo aiutasse la buona riuscita della vacanza.
Quando si dice che i bambini hanno bisogno di poco è vero, verissimo: una routine consolidata e tempo per giocare a volontà, il tutto condito da coccole e attenzioni. In vacanza, soprattutto in una città straniera, dove tutto è nuovo e diverso, mantenere le abitudini è sicuramente complicato. Abbiamo cercato il più possibile di rispettare gli stessi orari che aveva a casa, o comunque che la giornata fosse sempre scandita allo stesso modo senza grossi sconvolgimenti. La colazione, ad esempio, una volta scoperto una caffetteria di nostro gradimento e che aveva in più il vantaggio di avere un angolo dedicato ai bambini, l'abbiamo sempre fatta lì. Certo, sarebbe stato bello scoprire ogni giorno un locale nuovo (cosa che facevamo comunque già a pranzo e cena), ma iniziare la giornata sapendo che cosa l'aspettava (soprattutto i giochi) credo predisponesse al meglio VV. 

 
Il caso ha voluto che proprio di fronte al nostro albergo ci fossero dei giardinetti, ci siamo andati in realtà una volta sola; Berlino è stato il nostro campo da gioco. Un po' di fantasia (senza disturbare o mancare di rispetto) e qualsiasi luogo si presta ad un'arrampicata, una corsa o un nascondino improvvisato cercandosi negli specchi, una foto con la mamma diventa la scusa per fare la lotta, l'espositore di volantini il tuo personalissimo bookshop in un museo. 

 
Ai bambini, inoltre, piace copiare noi adulti: considerato che mentre si visita una città straniera si passa parecchio tempo fotografandola e con la cartina in mano, VV era munita sia di mappa che macchina fotografica (l'immagine in cui fa finta di controllare come è venuta la foto mi fa una tenerezza pazzesca!).
 

All'estero, come a casa, ci siamo presi con calma tutto il nostro tempo per giocare con fontane, bolle di sapone e fare un giro di giostra (grazie al costo, quest'ultimo per noi sarà indimenticabile!)



Non c'è viaggio poi senza souvenir; abbiamo portato a casa con noi un modellino della famosa utilitaria Trabant, da noi ribatezzata subito Traby, e un tenerissimo Teddybear di Steiff, diventato un inseparabile amico (chi mi segue su Instagram ne ha le prove). Come l'abbiamo chiamato? Bearlin, ovviamente!


mercoledì 16 settembre 2015

Un inizio da ogni fine


Avevo timore di iniziare a leggere questo libro. Sono una fifona; se un film dell'orrore, del terrore o un thriller rischiano di non farmi più dormire la notte, con una storia vera, accaduta realmente la paura è assicurata. Se la storia in questione riguarda un bambino, il timore raggiunge vette indicibili. Quindi di solito evito, sperando che funzioni il caro vecchio detto: occhio non vede, cuore non duole.
Avevo paura quindi a intraprendere la lettura di “Mi sa che fuori è primavera” di Concita De Gregorio perché sapevo già che nasceva dalla storia delle due gemelle di 6 anni portate via dal padre e sparite nel nulla, “probabilmente morte”, come dice ad un certo punto la madre stessa. Probabile, forse, ma non è sicuro...
Da quando è nata VV ho la paura che hanno tutti i genitori, di perderla. Quella paura che ti fa alzare di notte per vedere se respira (e che te la fa toccare e disturbare se non riesci a capire se respira...), la paura delle malattie, la paura di perderla di vista quando sei fuori, in mezzo alla gente, la paura degli estranei. La paura. Spesso non ci pensi ma lei è lì, sempre presente, il cuore che perde un colpo, lacrime inspiegabili che ti salgono agli occhi, un brivido lungo la schiena anche quando fuori fa caldo. L'ho sempre detto: sono rimasta incinta e ho iniziato a preoccuparmi. E ad avere paura.
Così, nonostante questo nodo che mi prende allo stomaco e che se lo ascolto troppo non mi fa dormire la notte, avevo anche una curiosità morbosa di leggere e di capire come si fa a continuare a vivere dopo una perdita.
...la perdita di un figlio è la pietra di paragone, la misura aurea del dolore. Il metro. Ogni altra difficoltà della vita è contenuta in quel perimetro. Si ridimensiona, in un certo senso conoscere i confini è un privilegio. Lo so , lo so: sembra un'eresia dire che è anche un privilegio, conoscere i confini del dolore. Eppure è così... Avere il privilegio di sapere. A che prezzo, certo. Ma quello che è davvero prezioso – la conoscenza, per esempio, ma anche l'amore profondo – ha un prezzo sempre, no?
E infatti io non lo so. E non l'ho compreso neanche dopo la lettura di questo libro. E non lo voglio sapere.
Però ho capito che si può, si riesce a vivere, ancora, dopo. E amare, gioire, avere fede e speranza nel futuro. Non so come fa ma lei, Irina, la mamma delle due gemelline ci riesce. E capisco anche che qualcuno, molti, si scandalizzino che ci riesca, nonostante quello che le è successo. Si è trovata a un bivio, il giorno in cui ha perso le figlie e l'ex marito, e ha dovuto scegliere: continuare a vivere o sparire con loro tre. E lei ha scelto di continuare a vivere e per farlo deve essere felice. E' una donna forte e coraggiosa.
...niente si dimentica ma tutto, a momenti, si deve poter prendere e mettere in un posto. Tenerlo in mano e metterlo in tasca, spostarlo sul comodino come fosse un fiore in un vaso, uscire, poi rientrare e trovarlo lì. Come potremmo vivere senza placare la memoria, che non vuol dire arrendersi, o dimenticare, ma lasciare che il caldo si raffreddi, che il bagnato si asciughi, che ogni cosa si trasformi e nasca un inizio da ogni fine. Che la fame si sazi per tornare a essere fame. Che il desiderio si estingua per rinascere. Che il sonno dia pace alla stanchezza per avere sonno di nuovo. Ogni minuto della vita gira attorno a qualcosa che non c'è più perché qualcos'altro possa accadere...
C'è bisogno di essere felici per tenere testa a questo dolore inconcepibile.

lunedì 14 settembre 2015

It is a Decision


Il bello di Internet è che è come camminare per le strade di una città che non conosci, non sai mai dove ti sta conducendo e quale sorpresa potresti trovare dietro l'angolo.
In questi giorni in cui i bambini ritornano a scuola o alcuni ci vanno per la prima volta, non posso fare a meno di pensare a quando verrà il turno di VV di affacciarsi sul mondo. Da sola. Quel giorno spero di ricordarmi di leggerle questa lettera:
We do not care if you are the smartest or fastest or coolest or funniest. There will be lots of contests at school, and we don’t care if you win a single one of them. We don’t care if you get straight As. We don’t care if the kids think you’re cute or whether you’re picked first or last for kickball at recess. We don’t care if you are your teacher’s favorite or not. We don’t care if you have the best clothes or most Pokemon cards or coolest gadgets. We just don’t care.
We don’t send you to school to become the best at anything at all. We already love you as much as we possibly could. You do not have to earn our love or pride and you can’t lose it. That’s done.
We send you to school to practice being brave and kind.
Kind people are brave people. Because brave is not a feeling that you should wait for. It is a decision. It is a decision that compassion is more important than fear, than fitting in, than following the crowd.
Trust me, baby, it is. It is more important.
Don’t try to be the best this year, honey.
Just be grateful and kind and brave. That’s all you ever need to be.
Take care of those classmates of yours, and your teacher, too. You Belong to Each Other. You are one lucky kid . . . with all of these new gifts to unwrap this year.
Tradotto (male) da me: Non ci interessa se sarai il più intelligente o il più veloce o il più alla moda o il più simpatico. Ci saranno tante gare a scuola, e non ci interessa se ne vincerai anche solo una. Non ci interessa se prenderai tutte A. Non ci interessa se i compagni penseranno che sei carino o se sarai scelto sempre per primo o ultimo a pallone. Non ci interessa se sarai il preferito del tuo professore o no. Non ci interessa se sarai quello con i vestiti migliori o più carte dei Pokemon o i gadget più alla moda. Solo, non ci interessa.
Non ti mandiamo a scuola per diventare il migliore in niente. Ti amiamo già più di quanto ci è possibile. Non devi guadagnarti il nostro amore o orgoglio e non li puoi perdere. Li hai già.
Ti mandiamo a scuola per imparare ad essere coraggioso e gentile.
Le persone gentili sono persone coraggiose. Perché il coraggio non è un sentimento per cui devi aspettare. E' una decisione. E' una decisione che la compassione è più importante della paura, di fare gruppo o seguire la folla.
Credimi, tesoro, lo è. E' molto più importante.
Non cercare di essere il migliore quest'anno, tesoro.
Sii grato, gentile e coraggioso. Questo è tutto ciò che hai bisogno di essere.
Prenditi cura dei tuoi compagni e anche dei tuoi insegnanti. Vi appartenete l'un l'altro. Sei un bambino fortunato... con tutti questi nuovi doni da aprire quest'anno.

Buon inizio di scuola a tutti.

Qui la lettera completa.

venerdì 11 settembre 2015

Berlin Lovers


Oh Berlino, che non hai aperto la tua porta e non mi ha fatto entrare, mi ha lasciata fuori, a vagare per le tue strade alla ricerca di una chiave di lettura. Mi hai costretta a fare la turista, cosa che cerco di fare il meno possibile quando vado all'estero. 


Io che mi sforzo di scovare angoli sconosciuti, poco battuti, io la cui massima aspirazione è fondermi con gli abitanti di una città, mescolarmi, sparire in mezzo a loro, sentirmi parte di loro. Mi hai lasciata fuori, non hai voluto farti conoscere fino in fondo, hai negato ai miei occhi i tuoi segreti, i tuoi lati nascosti; hai preferito mostrarmi il lato del tuo carattere più insofferente, quello volubile e poco accogliente. 
 

Come un libro piaciuto ai più, io non sono stata in grado di leggerti, comprenderti; non sono stata capace di ricevere il tuo messaggio, ascoltarlo e farti mia. Mi sono lasciata bistrattare un po' e poi ho battuto in ritirata, sono ritornata nel mio angolino, incredula e disorientata. Non si può piacere a tutti.


Mi sono interrogata molto, una volta tornata a casa, su che cosa mi avesse impedito di approfondire meglio la conoscenza di Berlino, cercando di capire che cosa fosse comunque tornato a casa con me, dopo tutti quei giorni trascorsi tra le sue strade. Ho concluso che Berlino è ancora una città dilaniata, spezzata in due, divisa tra un passato straziante che non può dimenticare e il tentativo invece disperato di lasciarselo alle spalle, di voltare pagina, ricominciare da capo, essere tutta nuova.


In fondo la capisco: chi di noi vorrebbe che qualcuno ci rammentasse in continuazione un nostro errore? Dall'altra è impossibile cancellare tutto, perché questi orrori non dovrebbero accadere mai più. 


E così la contraddizione di un intero cantiere a cielo aperto, una città in continua costruzione ed evoluzione ed in mezzo a tutto questo caos le rovine di un passato recente, pochi sopravvissuti, come isolati stendardi a ricordarci quello che una volta è stato e ci si augura non sarà mai più.


Tutto questo, gestito in modo disordinato e caotico, davvero poco teutonico, ha creato in me disorientamento; per quanto disinformata ero comunque inconsciamente e ingenuamente partita con delle aspettative: la vecchia Berlina e la nuova Berlino, come se fossero due entità distinte, il prima e il dopo. Invece, forse, a Berlino stanno facendo qualcosa mai sperimentato prima, pratici, sbrigativi e non curanti come solo i tedeschi sanno essere. Forse, dal bozzo, un giorno sboccerà una farfalla.



mercoledì 9 settembre 2015

Andiamo qua e torniamo indietro


Ho un brutto vizio: penso troppo. Rimugino sul passato, mi preoccupo per il futuro. Sono specializzata (ho un master) nel mettere il famoso carro davanti ai buoi. Quando arriva il momento del tanto temuto evento io l'ho già vissuto miliardi di volte nella mia testa. E' come se i miei neuroni ogni volta dicessero: «Adesso ci mettiamo qui ed esploriamo tutti gli scenari possibili». Utilità? Nulla. Percentuale di avveramento delle previsioni? Pari a zero. Quello che accade non si avvicina mai a quello che avevi immaginato. Perché continuo a farlo? E' come chiedermi perché respiro...
Questa estate però sono riuscita in parte a mettere a tacere il mio cervello. Ho un vago sospetto che abbia contribuito in tutto ciò il caldo: troppo stremata per mettermi a pensare, forse... Diciamo che in parte sono riuscita a sabotarmi da sola; ho fatto in modo di non avere strumenti per pianificare, non mi sono creata aspettative, ho fatto la stupida della situazione.
Avevo scritto dei miei timori per il nostro viaggio a Berlino, quelli per la valigia li ho risolti grazie a una notte insonne: già che ero sveglia mi sono messa a pensare a cosa portarmi, quali capi potevano permettermi il numero maggiore di abbinamenti, sembrando così vestita in modo diverso anche se in realtà a giostrare erano sempre le stesse cose. Un trucco che ho imparato negli ultimi viaggi: concentrarsi su massimo due colori base, così non capiterà mai di ritrovarti con un capo che non sai con cosa abbinare. Io opto quasi sempre per il mio colore preferito, il blu. Provateci, funziona.
Le aspettative su Berlino, invece, non le ho create semplicemente non informandomi molto; proprio così, sono partita sapendo poco o nulla sulla città.

Una delle cose che mio marito ed io amiamo fare, quando visitiamo una città straniera, è passeggiare; semplicemente camminare per strade, piazze, vicoli lasciando che ad attirarci sia uno scorcio, una luce, un'insegna, qualsiasi cosa. Anche quando dobbiamo recarci in un luogo che vogliamo specificatamente visitare, se la distanza lo permette, lo facciamo a piedi: ci piace immergerci completamente in una città, esplorarla fino in fondo, illuderci forse, così facendo, di conoscere ogni suo angolo, soprattutto quelli meno turistici. Mi sono detta quindi: «male che vada passeggeremo e Berlino la conosceremo così».

(abbiamo anche usato la metro)
  
Devo confessare di essermi potuta permettere questo tipo di ragionamento anche perché viaggiavamo insieme a mio fratello e mia cognata, loro invece erano informati eccome. Le nostre colazioni erano il momento in cui pianificavamo visite e giornate, ma tutti quanti eravamo molto propensi a lasciare ampi margini ai cambiamenti dell'ultimo minuto. Altra ottima strategia quest'ultima, insieme allo sentirsi liberi di intraprendere strade diversi, quando si viaggia in compagnia, per non incappare in litigi o malumori. 


Ecco perché posso affermare con entusiasmo che il viaggio a Berlino è stato un vero successo!

(Prossimamente: cosa penso di Berlino e come è stato viaggiare con VV e cosa ci ha aiutato)

lunedì 7 settembre 2015

Safe up here

La critica non è scienza: non mi aspetto che i critici separino le loro emozioni da quello che recensiscono.

David Foster Wallace
Quando ho letto questa frase ho tirato un sospiro di sollievo; se è giusto aspettarsi dai critici un coinvolgimento emotivo, ancora di più è lecito per me che critico non sono. Ogni volta che mi accingo a scrivere di un libro che ho letto sono sempre in dubbio se aggiungere un breve riassunto della trama ad uso e consumo di chi mi legge perché a me, detto in parole povere, non me ne frega niente di farlo. Quando scrivo di un libro quello che voglio mettere nero su bianco, quello che voglio ricordare, soprattutto a me stessa, sono le emozioni che mi ha trasmesso. Mi rendo conto però che spesso sono un po' criptica... Ora però posso affermare di scrivere sull'onda dell'emozione!
Di “Colomba” di Dacia Maraini, ad esempio, mi sono piaciute molte cose: come fosse incentrato soprattutto sui personaggi femminili, come fosse intrigante leggere le avventure di queste donne più o meno imparentate e come fosse interessante venire a conoscenza di come si vivesse tempo addietro sui monti dell'Abruzzo.
Quello però che mi ha regalato un brivido dietro la schiena, alcune sere mi ha pure fatto un po' paura, è stato seguire la nonna di Colomba, Zaira, mentre vagava da sola per le montagne alla ricerca della nipote. Con qualsiasi tempo, pioggia, neve, nebbia, freddo, sole, seguivo questa anziana signora inerpicarsi per sentieri, tra rocce, rovi, burroni e guadi. Lei senza paura, perché il desiderio di trovare la nipote era più forte di ogni timore, io col fiato sospeso, terrorizzata potesse capitarle qualcosa o potesse fare un brutto incontro.
A regalarmi le emozioni più forti era, però, immaginare di essere io là, nel bosco, da sola: un misto tra repulsione e forte desiderio. Sparire, non farmi trovare mai più, scappare, non lasciare traccia di me, essere sola, non dover pensare ad altro che a me stessa, superare il confine tra l'essere al sicuro e il pericolo, ciò che sono io e l'estraneo, tra l'ambivalenza di ciò che sono e quello che potrei essere. E questa possibilità di essere altro da te è il regalo più bello che ti possa fare un libro.
We live on a mountain
Right at the top
There's a beautiful view
From the top of the mountain
Every morning I walk towards the edge
And throw little things off
Like car-parts,
Bottles and cutlery
Or whatever I find lying around
It's become a habit
A way to start the day

I go through all this
Before you wake up
So I can feel happier
To be safe up here with you

It's early morning
No-one is awake
I'm back at my cliff
Still throwing things off
I listen to the sounds they make
On their way down
I follow with my eyes 'til they crash
Imagine what my body would sound like
Slamming against those rocks
When it lands
Will my eyes
Be closed or open?

I go through all this
Before you wake up
So I can feel happier
To be safe up here with you
Bjork



venerdì 4 settembre 2015

Occuparsi di noi


Dicevo (scrivevo) come ho intenzione di sconfiggere la scontenta che c'è in me? Facendomi sentire regina circondandomi solo di cose belle, ecco come:

DECLUTTERING Da quanto ho iniziato non ho più smesso. Periodicamente metto mano a cassetti ed armadio, voglio arrivare ad avere un guardaroba davvero essenziale. Confesso di aver ceduto a qualche acquisto forse di troppo durante i saldi, ma ho subito compensato liberandomi di qualcos'altro. Non ho seguito il metodo Marie Kondo (solo per le scarpe e vi posso assicurare che fa “effetto”) ma a lei mi sono ispirata. I famosi “vestiti per stare in casa”? Via tutti. Se ci sono abiti che non ci piacciono più o sono troppo usurati per uscirci perché imbruttirci indossandoli in casa? Timore di rovinare quelli “belli”? Basta poco per averne cura (ad esempio proteggerli indossando un grembiule per i lavori più impegnativi o quando si cucina... Un grembiule bello! Ce ne sono tantissimi). A parte i calzini, non sono mai riuscita a consumare davvero qualcosa, segno che non ho mai indossato un abito troppo spesso, quindi ne avevo troppi ed erano più le possibilità che passassero di moda piuttosto che diventassero lisi. Insomma, un armadio pieno di abiti inutilizzati. Non è meglio averne pochi, di ottimi qualità e che si ha sempre voglia di indossare?

HOME SWEET HOME Dopo l'armadio il mio campo d'azione si sta allargando alla casa. Anche le stoviglie si logorano. Basta fare la colazione con tazze sbeccate o cui il disegno è ormai sbiadito. Capisco l'abitudine o l'attaccamento, ma ne ho un ripiano della cucina pieno (quasi due...), è venuto il turno delle altre. La caffettiera della Thun tanto bella quanto scomoda, ricevuta in dono per le nozze e mai usata? Facciamo 6 anni di matrimonio a ottobre, direi che è approvato non la utilizzeremo mai. Questi sono solo alcuni esempi. Dispiace, sembra uno spreco, sembra non apprezzare i regali ricevuti ma sono lì, inutilizzati, che occupano spazio, si impolverano e ti riempiono la vita inutilmente. Racimolo e divido in gruppi: alcuni oggetti li donerò alla parrocchia; alcuni proveremo a rivenderli, i più preziosi su e-bay, quelli meno in un mercatino dell'usato. I soldi ricavati andranno dritti dritti nel salvadanaio che abbiamo deciso di iniziare da settembre e che sarà destinato ai viaggi. Un euro di qua, dieci centesima di là, così facendo, senza pensarci troppo, tempo fa mi sono ritrovata con soldi a sufficienza per pagarmi un volo andata e ritorno per la Sardegna. Se ci riusciremo alla fine quei regali non si riveleranno così inutili.

Visto? La lista dei buoni propositi come previsto è piccola e semplice, spero però sia un primo passo.

Nella vita non serve quasi mai preoccuparsi per noi,
ma bisogna occuparsi di noi.
Tata Lucia

mercoledì 2 settembre 2015

Regina, tutti i giorni


Una lista di buoni propositi per settembre, che viene spesso considerato l'inizio dell'anno (gennaio non averla a male), vogliamo scriverla? Piccola eh, che da queste parti abbiamo capito che a volare basso abbiamo tutto da guadagnarci, meno aspettative crei e meno possibilità hai che vadano deluse, meno carne metti sul fuoco... ok, la smetto.
Il mio buon proposito si riassume in questa frase: Francesca dice no alla scontentezza. Mi rendo conto che detta così non suona per niente piccola come intenzione, soprattutto se, come me, l'insoddisfazione fa parte del tuo dna. E' il cammino per arrivare al risultate finale che sto cercando, con qualche escamotage, di rendere semplice.
Ho fatto questo ragionamento: per essere meno scontenta devo rendere speciale la mia vita di tutti i giorni. Considerato che non sono una di quelle persone, purtroppo, che si alza al mattino, si affaccia alla finestra e, di sua spontanea volontà, canta un inno alla vita e a tutte le sue immense bellezze (nonostante porti il suo nome, S. Francesco con me non c'azzecca proprio), la bellezza la devo cercare, me la devo sudare. Oltretutto sono anche miope... Dove la vado a pescare questa bellezza? Non so bene, potrei farmi dare qualche lezione di pesca da mio suocero... Sono simpatica, vero?
Per incominciare voglio provare a circondarmi solo di cose belle, senza aspettare l'occasione speciale. Siete anche voi come me una di quelle persone che «no, questo è troppo elegante», «sei matto a usare il servizio buono? E se poi si rompe?», per non parlare dei famosi “vestiti per stare in casa”. Ecco, iniziamo da quest'ultima frase: io sto a casa tutti i giorni! Sono destinata a indossare una tuta per il resto della mia vita? Appurato che non credo ci siano possibilità Sua Altezza Imperiale la Regina Elisabetta venga a prendere il tè a casa mia, il servizio Richard Ginori di mia nonna in quale occasione speciale sto aspettando di usarlo? Se prepararmi con cura, indossare abiti eleganti, utilizzare oggetti di pregio mi rende felice e mi fa sentire speciale, perché non farlo tutti i giorni???
Qualcuno di voi potrebbe pensare che sto prendendo in considerazione solo il lato frivolo della vita ma non sono proprio queste cose a farcela apprezzare un po' di più? Le vacanze non le aspettiamo con ansia non solo perché è tempo libero da impegni ma anche e soprattutto, perché è tempo che possiamo dedicare a noi stessi, viziandoci e coccolandoci, curando i dettagli, prendendoci cura delle piccole cose, godendo finalmente appieno della bellezza: una camera d'albergo ordinata e confortevole, una tavola imbandita e un pasto consumato con calma e serenità. Quante volte al ritorno da una vacanza, per esprimere la mia contentezza, ho usato l'espressione: mi sono sentita una regina? Voglio provare a portare la vacanza dentro la vita, voglio sentirmi una regina tutti i giorni. Servirà questo a combattere la mia scontentezza congenita? Non lo so però ci voglio provare.
Nel prossimo post vi racconto come con l'elenco dei buoni propositi.