Alla scuola materna stavamo incominciando a preparare la recita di Natale. Quel giorno avevano assegnato le parti e io ero tornata a casa molto scontenta. Dovevo fare il soldato, anzi un soldato, un soldato semplice qualunque. Ero arrabbiata e mi lamentavo con mia madre, perché io volevo fare il generale, io volevo essere quella che dava gli ordini e non che li eseguiva. Tutta presa dalle mie rimostranze ad un certo punto dissi a mia madre che doveva fare qualcosa, che avrebbe dovuto parlare con la maestra e chiedere che mi facesse fare il generale. Mia madre mi rispose che non poteva fare nulla, che dovevo rispettare la decisione della maestra e che, se desideravo così tanto fare un altro personaggio, ero io quella che doveva parlare con la maestra. Ero io che dovevo chiedere di poter essere il generale.
La foto della recita di Natale mi ritrae insieme ad alcuni dei miei compagni di scuola, in fila uno affianco all'altro. Sulla parete in fondo sono appesi dei disegni e per terra ci sono dei giocattoli. Indossiamo tutti quanti una specie di tunica azzurra, corta e dritta con dei finti bottoni gialli di stoffa. In testa un cappello di carta, come quelli che una volta si facevano gli imbianchini con le pagine dei giornali; la divisa da militare per la recita. Le mie gambe, che spuntano come due stecchini dalla tunica, sono avvolte nei collant rosa e ai piedi ho un paio di paperine di vernice, rosse. Non me le ricordo, ma secondo me erano le mie preferite. Siamo tutti molto seri, forse concentrati per l'imminente recita. Io, solo io, ho una finta medaglia di stoffa appuntata sul petto.
Io non ero un soldato semplice, io ero il generale.
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