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lunedì 4 luglio 2016

Un cigno selvatico


Dopo aver assistito all'incontro al Salone del Libro di quest'anno, essermi presa una cotta adolescenziale, aver acquistato la mia copia e aver atteso pazientemente in coda il mio turno per farmela autografare (e io ci tengo agli autografi, come vi raccontai qui), non vedevo l'ora di tornare a casa a leggere “A wild Swan” di Michael Cunningham (“Un cigno selvatico”, pubblicato in Italia da La nave di Teseo). Siamo a luglio, stareste giustamente pensando...
Non ho impiegato tutto questo tempo a leggerlo, ma più di quello che immaginavo sì. Non nascondo che a differenza di “The Hours”, unico altro suo romanzo letto da me, l'inglese questa volta mi ha fatta un po' penare: ero sicuramente fuori allenamento, ma ho dovuto soprattutto cercare tantissime parole nel vocabolario perché ha usato un linguaggio davvero difficile, desueto, poco contemporaneo; sembra abbia avuto tutte le intenzioni di rifarsi alla lingua delle fiabe così come dovevano essere state scritte alle origini.
Al di là però delle mie difficoltà personali, che hanno sicuramente rallentato la mia lettura, era l'atmosfera che permeava le pagine a frenarmi: confesso che, a fine serata, stanca e assonnata, tutto avevo voglia tranne che incamminarmi tra quelle righe cupe. Dovevo aspettarmelo, visto che Ivan Cotroneo, quando l'ha presentato, ha descritto il pennino con cui sono state scritte come se fosse stato imbevuto nell'inchiostro più nero. Michael Cunningham però mi aveva altrettanto colta in inganno quando aveva affermato che aveva scritto questo libro per rispondere a questa semplice domanda: «Il lieto fine non mi basta, che cosa succede dopo?». Ecco, dopo non va quasi mai molto bene...
Mi sono nuovamente ritrovata a domandare a uno scrittore «Perché?»; perché questo pessimismo, perché queste atmosfere buie e cupe, perché non c'è il lieto fine, perché sembra volerci dire «Non credete più alle favole».
Io però ho avuto la fortuna di sentirlo parlare Michael Cunningham, l'ho osservato in viso per un'ora intera, gli ho stretto la mano (lo seguo anche su Instagram!) e tutto mi è sembrato tranne un uomo freddo, cinico e senza speranza che non crede più alle favole. E allora che cosa ha cercato di dirci con questo libro?
Io mi sono data questa risposta: vedi, Biancaneve, la vita è difficile, dura, noiosa, delude spesso le tue aspettative, ti fa cadere, ti sporca e ti sbuccia le ginocchia, tocca ogni volta rialzarsi e sembra, ogni volta, più complicato. Siamo fatti carne e sangue, siamo mortali, deboli e, a volte, infidi e subdoli, eppure... Eppure, nonostante questo, vale la pena andare nel bosco e mangiare la mela, vale la pena ogni prima volta, vale la pena continuare a sognare, a sperare, a immaginare, quando ancora tutto è possibile e non ha importanza il dopo.

I like thinking this way, when I was a dream you were having, when I was premonition, when I was perefect because I didn't exist, when I was pure possibility,... when you were immaculate, and entirely strange, and the most perfect and beautiful creature I'd ever seen. Before I lifted the lid...and kissed you for the first time.

Mi piace pensarla così, quando ero ancora un sogno che stavi facendo, quando ero una premonizione, quando ero perfetto perché non esistevo ancora, quando ero pura possibilità,... quando tu eri immacolata, e totalmente estranea, e la creature più perfetta e bella che io avessi mai visto. Prima che io sollevassi il coperchio... e ti baciassi per la prima volta.

(Il libro di Michael Cunningham è arricchito dalle bellissime illustrazioni di Yuko Shimizu e a partire dall'8 luglio ci sarà la possibilità di vederle dal vivo presso la Venaria Reale, all'interno della manifestazione Milanesiana organizzata da Elisabetta Sgarbi. Qui tutte le informazioni.)

mercoledì 2 marzo 2011

Hoping for more

Sono convinta di aver apprezzato maggiormente la rilettura di questo libro perché è venuta subito dopo quella di “Mrs Dalloway”. Avere ancora in mente il romanzo di Virginia Woolf mi ha fatto notare ed apprezzare molti particolari che mi erano sfuggiti durante la prima lettura di “The Hours”. Sono contenta di aver seguito questo ordine perché mi ha permesso di gustare fino all'ultima sillaba questo libro. Libro che, senza il romanzo della Woolf, non sarebbe mai potuto essere scritto; e non è un particolare da poco. Non sto dicendo che non sarebbe una piacevole lettura preso singolarmente, ma vi perdereste sicuramente qualcosa, anzi molto. Perché è un libro sulla vita: un giorno nella vita di tre donne, la vita in un giorno.

We live our lives, do whatever we do, and then we sleep – it's as simple and ordinary as that. A few jump out of windows or drown themselves or take pills; more die by accident; and most of us, the vast majority, are slowly devoured by some disease or, if we're very fortunate, by time itself. There's just this for consolation: an hour here or there when our lives seem, against all odds and expectations, to burst open and give us everything we've ever imagined, though everyone but children (and perhaps even they) knows these hours will inevitably be followed by others, far darker and more difficult. Still, we cherish the city, the morning; we hope, more than anything, for more.