venerdì 7 agosto 2015

(S)contenta

Mi chiameranno scontenta. Non posso farci nulla, l'irrequietezza è nella mia natura; a volte si agita in me fino a diventare dolorosa...

Charlotte Brontë

Irrequietezza, scontentezza, insoddisfazione, insicurezza, ingratitudine. A seconda dei momenti e di chi hai di fronte può acquistare sfumature diverse; in ogni caso non è mica facile stare al mondo con quel nervo scoperto lì, né per te né per chi ti sta accanto. Perché è facile snocciolare elenchi, tirare giù liste con le cose belle che uno ha e sta vivendo, il nervo ha la voce più forte, il dolore ti appanna gli occhi e ti abbassa l'udito. E nei momenti di lucidità si aggiunge anche il senso di colpa, perché uno è anche consapevole che nella vita ci sono cose ben peggiori e dovrebbe vergognarsi a lamentarsi. E' facile piangersi addosso e, per quanto ci si sforzi, la lezione non vuole entrare in testa: si è perennemente rimandati a settembre. A meno che non ci si chiami Charlotte Brontë, e allora sì che due domandine avrei da fargliele, su come ha fatto, nonostante l'irrequietezza, a stare inchiodata alla scrivania e a scrivere, non di certo le due fregnacce che scrivo io...
Comunque, per i momenti di lucidità, due lezioncine “L'esercito delle cose inutili” di Paola Mastrocola te le dà.
Vi ricordate perché l'avevo comprato? Attraversavo un periodo (non ancora concluso, a dir la verità) in cui avevo bisogno di leggerezza, di liberarmi del superfluo, delle cose inutili; il titolo della Mastrocola mi ha tratta in inganno. Ma i libri sono furbi e si fanno leggere nel momento del bisogno perché, nel mio caso, non erano le cose che possedevo ad essere inutili, ero io che mi sentivo così. Il caso (o forse il fato) ha voluto che lo leggessi mentre ero in vacanza in montagna e proprio lì, dalle persone che vi abitano e lavorano, ho ricevuto la medesima lezione; come a ribadirla, sottolinearla, sia mai che è la volta buona che mi entra in testa.
Leggevo il libro, facevo mia la sua storia, e ogni tanto alzavo lo sguardo e osservavo questi uomini e donne recarsi verso i campi, chi a tagliare l'erba, chi a portare le capre al pascolo. Sono sicura che loro non si sentono inutili anzi, hanno così tante cose da fare e a fine giornata la stanchezza fisica deve essere così immensa, che non sprecano nemmeno un grammo della loro energia e del loro tempo a domandarsi il perché lo fanno, a che pro, a chi giova. Va fatto. Potrebbero non farlo ma poi sai che casino, un intero ecosistema mandato a gambe all'aria, perché i cari sentieri e boschi in cui mi piace passeggiare mica li tiene puliti e in ordine lo Stato, così per fare un esempio. Anche Bambi, che quest'anno ho visto per ben due volte, dovrebbe far fagotto se quei signori smettessero di prendersi cura delle loro montagne, per fare un altro esempio.
Quindi, per concludere, in poche parole, la lezioncina che ho imparato: più fatti e meno seghe mentali (scusate il francesismo) che poi, magari, mentre son lì che faccio, anch'io non ho tutto questo tempo di star lì a domandarmi il perché e il per come. Inoltre, considerato che ci tengo così tanto a liberarmi del superfluo, magari è la volta buona che per strada mi libero finalmente della “s” e divento contenta.

2 commenti:

  1. Ma sì che va così! I libri sono furbi, ne sono convinta anch'io, e questa tua riflessione me lo conferma una volta di più: inutile mettersi a pensaremeditareriflettere, la vita è qui davanti a noi e merita di essere vissuta.
    Vivere vale la pena. (Cit. un libro che ho appena finito di leggere, potrebbe darti qualche spunto per eliminare le seghe mentali che sto imparando a togliere anch'io: Ma già prima di giugno, di Patrizia Rinaldi)

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    1. Grazie della segnalazione; sono andata a leggere la trama e mi ha molto incuriosita: in questo periodo sono affamata di storie di donne, madri e figlie. Grazie!

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