venerdì 6 gennaio 2012

Da qualche parte verso la fine

Non si è mai pronti ad affrontare il giorno in cui ci si rende conto che i propri genitori stanno invecchiando.
Il cambiamento ha avuto inizio molto tempo prima, in modo lento e graduale, ma noi non ce ne siamo resi conto, o non abbiamo voluto accorgercene, troppo compresi nella nostra parte di figli abituati ad essere il centro di tutte le loro attenzioni, dei loro pensieri. Così, il fatidico giorno, vacilliamo, perdiamo il baricentro; improvvisamente sono loro ad avere bisogno di noi, loro che si rivolgono a noi per avere un aiuto, un consiglio, un supporto. E noi, che fino a quel momento avevamo fatto affidamento su di loro, il cui amore incondizionato avevamo dato per scontato e di cui forse abbiamo anche un po' abusato, noi quel giorno è come se li vedessimo per la prima volta. Notiamo le insicurezze, la fragilità, il passo più incerto, i movimenti più lenti. Se, inoltre, è una malattia a stracciare il velo di “egoismo” che fino a quel momento ci aveva reso ciechi, oltre allo smarrimento, ci assale anche la paura, una fottutissima paura.
Ho letto “Da qualche parte verso la fine” di Diana Athill perché è un libro che parla proprio di che cosa significhi invecchiare.

Tendiamo a convincerci che tutto peggiori semplicemente perché così succede entro i confini del nostro mondo. Un po' alla volta diventiamo meno capaci di fare cose che ci piacerebbe fare, sentiamo di meno, vediamo di meno, mangiamo di meno, soffriamo di più, i nostri amici muoiono, sappiamo che anche noi faremo presto la loro stessa fine.
Verità dolorose, eppure tutto il libro ha una visione positiva della vecchiaia, che viene descritta come un periodo in cui sentirsi finalmente liberi di essere se stessi, senza dover rendere conto a nessuno.

Non siamo semplici puntini alla fine di esili linee nere proiettate verso il nulla, bensì facciamo parte dell'ampio e variegato fiume che pullula di inizi, maturazioni, decadimenti e nuovi inizi – ne siamo ancora parte integrante, e lo sarà anche la nostra morte.
Non ho paura di invecchiare anzi, per un certo verso quasi non vedo l'ora di raggiungere questa “libertà”. Eppure, che siano i miei genitori ad invecchiare, di questo proprio non riesco a farmene una ragione.


3 commenti:

  1. Io non ci penso, non so se perchè così allontano la realtà, ma non riesco a pensare ai miei genitori che invecchiano. E' vero, magari cominciano a ripetere qualche volta le cose che dicono, ti dicono volevo ancora dirti una cosa ma adesso non mi viene in mente (beh, questo lo faccio anche io…), ma non riesco e non voglio vederli “vecchietti”.
    Hai reso benissimo l’idea dicendo che loro sono i nostri riferimenti e che ci sono quando abbiamo bisogno di consigli, opinioni, supporto, etc.
    Dopo toccherà a noi esserlo con la doppia veste di figli verso di loro ed eventualmente di genitori.
    Mi piace tantissimo anche l’idea di ritrovata libertà che uno raggiunge. Dopo un’intera vita a pensare agli altri finalmente un po’ di tempo TUTTO per se stessi.
    Grazie anche per la dritta del libro, chissà per le prossime letture…
    Buon inizio di 2012 e grazie in anticipo per le pagine che ci regalerai
    Silvio

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  2. neanch'io carissima sono veramente pronta è un bel punto su cui riflettere e agire in qualche modo. baci

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  3. Forse, come suggerisce Silvio, impedirci di vederli come "vecchietti" potrebbe essere un buon punto da cui partire. I primi tempi in cui ho avuto "questa rivelazione" ero così piena di riguardi che avevo smesso si confidarmi e confrontarmi con mia madre, per timore di sfociare in una delle nostre solite "discussioni". Ma non mi rendevo conto che quelle discussioni mi mancavano tantissimo e secondo me, sono mancate anche a mia madre.

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