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lunedì 11 febbraio 2019

Oggetti solidi


Ho finito l'anno vecchio e iniziato quello nuovo leggendo lei, la mia amata Virginia Woolf, e i suoi racconti contenuti in “Oggetti solidi. Tutti i racconti e altre prose”, pubblicato da Racconti Edizioni. Avevo un conto in sospeso con lei, perché questa estate ci sono rimasta molto male per non essere riuscita a leggere “Le onde”, inizialmente l'ho vissuta come una vera e propria sconfitta come lettrice. Poi mi sono detta che non c'è scritto da nessuna parte che ti debbano per forza piacere tutti i libri del tuo scrittore preferito, o che non esiste nessuna legge che dice che devi leggere tutti quelli dell'autore che adori. Insomma, la famosa libertà del lettore... Magari ci riproverò più avanti, o magari no, che importanza ha? L'importante è leggere.
Io che non sono una grande appassionata di racconti, ho apprezzato tantissimo questo libro che li unisce tutti, in ordine cronologico, suddivisi solo per gruppi di anni e che così facendo ti permette di apprezzare ancora di più la scrittura di Virginia Woolf. La vedi crescere e svilupparsi sotto i tuoi occhi, percepisci il suo continuo lavorio sul linguaggio e sulla resa, il suo costante studio, di come si impegni a fondo per raggiungere lo stile che ha in mente, le forme che le sfuggono.
Altrettanto si può dire delle tematiche a lei care e che qui vediamo presenti nei loro molteplici aspetti e sfumature; osserviamo l'autrice tornarci sopra più e più volte, da ogni angolazione, con ogni mezzo, affilando il mezzo del suo mestiere, mettendo in pratica quanto letto e studiato a sua volta.
Ma soprattutto assistiamo all'ingegno di una scrittrice che da sempre, fin dagli albori, aveva ben chiaro in mente che tipo di libro voleva ottenere attraverso la scrittura e di come i suoi sforzi siano sempre stati incentrati su un unico risultato: la riforma del romanzo, il ritratto della vita così come la percepiva.
Fantastico sul mio avvenire, decido quale libro scrivere: penso a come riformerò il romanzo, catturando una quantità di cose che per adesso sono sfuggenti, e creando infinite forme strane.
Ho apprezzato tantissimo inoltre in questo volume le note bibliografiche su ogni singolo racconto, informazioni preziose per inquadrare ogni testo all'interno del vissuto dell'autrice e delle sue pubblicazioni.
La lettura di questo libro è imprescindibile, secondo me, per gli amanti di Virginia Woolf, ti regala una bellissima visione d'insieme su come sia cresciuta e si sia sviluppata come autrice e direi che sia anche un buon punto di partenza per chi vi si vuole avvicinare per la prima volta ma la teme, per questa sua fama di scrittrice difficile; credo che i racconti siano più fruibili e immediati di un romanzo.
Insomma, consigliatissimo!

lunedì 13 marzo 2017

Il marciapiede per Torino


Gironzolavo tra gli scaffali di una libreria quando il mio sguardo è stato attratto da questo libriccino che sulla copertina riporta una sorta di timbro con scritto “Turin”; sguardo che è subito corso al titolo: “Il marciapiede per Torino. Racconti” edizioni Ensemble. L'ho sfogliato velocemente e altrettanto velocemente l'ho comprato; pensavo di regalarlo a una persona di mia conoscenza che ama tanto girare a piedi per Torino.
I giorni passavano e il libro, appoggiato provvisoriamente sulla mia scrivania, continuava a guardarmi. E io lui. “Magari lo leggo, prima di regalarlo, tanto abbiamo abbastanza confidenza, non si offenderà”. E poi scorrevo i nomi degli autori elencati sulla copertina, i più a me sconosciuti; e poi ho incominciato a domandarmi il perché una raccolta di racconti su Torino, se era nata prima l'idea del libro o prima i racconti, e chissà come ne usciva fuori la mia città da quelle pagine.
Pensa che ti ripensa, rimanda e temporeggia, è così che è nata l'idea della rubrica Turineisa, così è cresciuta la mia curiosità di conoscere meglio la realtà culturale torinese e i suoi autori contemporanei e il primo libro di cui parlarvi non poteva che essere proprio questo, quello da cui tutto ha avuto inizio.
Dodici brevi racconti, uno diversissimo dall'altro, da cui emerge ogni volta una Torino altrettanto differente: protagonista, sulla sfondo, nebbiosa, fredda, o che ti avvolge calda come un ricordo, una città che ti appartiene, una città a cui appartieni; la Torino di una volta, la Torino sabauda, la Torino della Fiat, e quella di adesso, che si sta reinventando; la Torino della Mole, simbolo, stendardo che si erge in mezzo alla pianura, il Museo del Cinema e il Torino Film Festival; la Torino dei portici, delle piazze e dei Murazzi.
Il traffico, a modo suo armonico, era regolato dai vigili urbani, i civich, con i loro caschetti bianchi, come i guanti e i manganelli segnalatori. I tram verdi sferragliavano facendo o gara con i filobus, strapieni di assonnati operai in tuta blu, impiegati frettolosi e studenti rasati, con tanto di cravattino nero e cartella in cuoio marrone.
Era la Torino delle periferie grigie come il cielo, dei palazzoni in cemento armato che spuntavano a manciate sui prati di mille vie Gluck; era la Torino dei napuli, della disperazione e della speranza della gente del Sud, dell'Italia povera che si aggrappava al treno del boom economico. E i treni arrivavano, a centinaia, sotto le volte Liberty della stazione centrale di Porta Nuova,...
Era una città dalle mille contraddizioni, ma era la mia città.
In quella copia un po' sbiadita e provinciale della Detroit americana, sfavillavano i Saloni dell'Auto, della Moda e della Tecnica...
Era la città del derby di Sivory e Charles contro gli eredi di capitan Valentino, Bearzot e Ferrini.
Erano le strade della FIAT seicento e dell'Alfa Romeo Giulietta...
Era la mia Torino...

mercoledì 18 novembre 2015

Il momento è delicato


E' un periodo strano questo, per quanto riguarda le mie letture; sto leggendo pochissimo e ho trascorso nuovamente molti giorni senza prendere neanche un libro in mano. Scorrevo con gli occhi gli scaffali della mia libreria con i libri ancora da leggere, sfogliavo qualche pagina, leggevo una quarta di copertina, ne ho iniziato uno, ho finito con il riporli tutti. Ho preso in prestito un romanzo da mia madre ma gliel'ho riportato indietro, dopo aver letto le prime pagine e averlo poi lasciato sul comodino ad impolverarsi. Sono stata in biblioteca e sono tornata a casa a mani vuote. Ero scoraggiata, io amo leggere, sento che mi manca qualcosa se non leggo per troppi giorni di seguito, che cosa mi sta succedendo? Forse i miei gusti stanno cambiando e non so bene dove rivolgere il mio sguardo?
Nell'attesa di essere illuminata sulla via di Damasco, non volendo chiudere definitivamente la mia storia d'amore con la lettura, ho preso una pausa di riflessione e mi sto vedendo con un altro. Un altro genere, quello che ho sempre detto non facesse per me, che non era proprio il mio tipo: il racconto. Ci vediamo solo da pochi giorni ma sento che, in questo periodo, è quello che fa per me; non richiede troppo impegno da parte mia, non ci sono troppe aspettative da ambo le parti, godiamo della reciproca compagnia ma ogni sera ci salutiamo con il cuore leggero, potremmo rivederci ma anche no, sapendo che quello che avevamo da dirci ce lo siamo detti, fino alla fine. Il giorno dopo sarà un nuovo inizio. Solo se lo vogliamo.
Ecco, dovessi fare un paragone azzardato, il romanzo è una storia d'amore, il racconto è la passione di una notte.

Niccolò Ammaniti

lunedì 9 febbraio 2015

Stupida e stanca


Sono in imbarazzo, questo libro mi ha messa in difficoltà; a partire dal linguaggio, dal modo in cui è scritto e dalla punteggiatura, che mi costringevano a continue fermate e retromarce; per arrivare al racconto in sé. Ai racconti, a dir la verità, perché non è un romanzo ma una raccolta, “Più tardi nel pomeriggio” di Grace Paley.
Chi ben comincia è a metà dell'opera, si dice, così ho pensato di dare una prima spuntata alla mia “Reading Resolution List” (e rimettermi così in pari con VV... ahahah!) partendo dal libro più breve e, povera illusa, più facile. Così non è stato.
Complice la stanchezza inspiegabile di questi ultimi giorni, forse, ma non so trovare altra ragione, posso affermare con assoluta certezza di non aver capito questi racconti; mi vergogno a dire che ho avuto anche seri problemi a seguire le storie in sé. Era tutto un: «Aspetta, chi sta parlando ora? A chi è successa questa cosa? Un momento...» Ad un certo punto mi sono anche resa conto che i protagonisti si ripetevano e si susseguivano nei racconti, ma io non ricordavo bene chi fossero. Volete sapere la verità? Non avevo nessuna voglia di tornare indietro per capirlo. Insomma, un fallimento totale e uno sconforto ancora maggiore. L'ultima cosa che desideri da un libro è che ti faccia sentire stupida e ti stanchi.
Magari un giorno lo rileggo. Ma magari anche no.

lunedì 13 ottobre 2014

Uscirne vivi

Lo ammetto, ad un certo punto della lettura, ho pensato: «Ah ecco, a che cosa si riferisce il titolo “Uscirne vivi”... uscirne vivi dalla lettura di questi racconti...»
Mi sono dovuta sforzare per proseguire nella lettura di questa raccolta di Alice Munro e, nella fatica, mi vergognavo: un premio Nobel e non mi piace, sicuramente sono io che non la capisco, che non la so apprezzare, sono una ignorante; i “Grandi della Letteratura” mi fanno questo effetto qui: mi mettono soggezione.
Ricordo di avere detto un giorno a mio fratello: non riesce a coinvolgermi, scrive in modo distaccato, quasi giornalistico, come se stesse facendo il resoconto di un evento. Sono storie tristi, ma non riesco a soffrire con i protagonisti, non riesco a gioire anche se so che, alla fine, sono sopravvissuti.
Poi ho capito. Io cercavo la sofferenza perché stavo soffrendo e anelavo al lieto fine perché avevo bisogno di un messaggio di speranza. Non era questo, però, quello cui era interessata Alice Munro, mentre scriveva. I suoi protagonisti, ognuno a proprio modo, hanno fatto pace con la vita, io non ancora completamente; si sono lasciati alle spalle il brutto episodio che ha segnato le loro vite, io ci sono ancora dentro, soprattutto quando penso di no. Loro possono permettersi di scrivere alla vita, come il titolo originale “Dear Life” fa intendere, io non ancora; loro ricordano, io vorrei dimenticare.
Loro ne sono usciti, vivi, io sono ancora dentro. Sono io che devo colmare questa distanza. Vivendo.


martedì 29 marzo 2011

Salendo crei il mondo

Ultimamente quando vado in vacanza mi piace accompagnare il viaggio anche con un libro “a tema”, che mi aiuti a calarmi ancora di più nei luoghi, la gente, la cultura che sto per visitare. Dovendo partire per una breve soggiorno in montagna ho pensato che il libro “Racconti di montagna”, a cura di Davide Longo, potesse essere il giusto compagno di viaggio.
Non sono mai stata una grande amante dei racconti. Non mi piace proprio il loro essere brevi. Soprattutto se una storia mi ha catturato mi dispiace che finisca troppo presto, vorrei seguire i personaggi ancora un po', saperne un po' di più. Eppure, in questa raccolta, anche se ogni storia era a sé stante, io ho avvertito un filo che le univa, che non era solo e semplicemente il luogo.
Il libro l'ho finito da un po' di tempo e ho rimandato a scriverne fino ad ora perché non riuscivo a spiegare bene a me stessa cosa fosse questo “legame”, questo passo, questo ritmo che avvertivo in ognuno di loro. Poi ho riletto bene l'introduzione e ho scoperto che potevo smetterla di sforzarmi, che la spiegazione era lì e me la dava Davide Longo, colui che aveva messo insieme questi racconti. «La montagna per un uomo è un tempo diverso...un racconto è un racconto di montagna quando narra l'incontro di un uomo con il tempo della montagna...Le storie che cercavo... dovevano essere toccate dalla montagna più che abitarla. I loro protagonisti dovevano vivere l'esperienza della rarefazione dell'aria, dei suoni, degli incontri, ma soprattutto del tempo. Perché la montagna ci costringe in primo luogo a prendere atto di questa feroce verità: il tempo esiste, è il centro della nostra vita, ma non è fatto a nostra immagine e somiglianza».
Non c'è un racconto in particolare tra tutti quelli contenuti in questo libro che mi sia piaciuto di più; forse continuo a non amarli i racconti, eppure questo libro è stato il perfetto compagno di viaggio. Perché in montagna avevamo lo stesso passo.

salire a piedi, con un pesantissimo sacco sulle spalle,... che lunga, lenta, sudata conquista! Quelle ore di fatica ci allontanavano gradualmente dal mondo normale della pianura e della città... Ti sentivi lentamente accolto in un mondo dalle dimensioni inconsuete ed affascinanti. Le ore? Non contavano più nulla. Questi erano posti da secoli! L'orizzonte si allontanava piano piano. In un certo senso, salendo « creavi il mondo».

Fosco Maraini