Visualizzazione post con etichetta Joshua Ferris. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Joshua Ferris. Mostra tutti i post

giovedì 25 agosto 2011

E poi siamo arrivati alla fine

«Un bellissimo romanzo... incredibilmente divertente» c'è scritto sulla copertina. Così mi sono immaginata risate sommesse tra me e me o scoppi sonori seguiti da un mio: “Senti questo passaggio, te lo devo leggere!”.
Invece all'inizio ho trovato solo confusione, troppi nomi da imparare subito, troppi personaggi che si confondevano l'uno con l'altro e poi la voce narrante, non sono sicura di aver capito a chi appartiene la voce narrante. Gli intrighi, i licenziamenti e le gelosie mi sembravano così irreali e poco credibili, per non parlare dei protagonisti, meschini e insensibili. Insomma l'agenzia pubblicitaria dove è ambientato “E poi siamo arrivati alla fine” di Joshua Ferris è il posto di lavoro più terribile in cui abbia messo piede.
Nonostante questo, ho proseguito la lettura e sono arrivata alla fine, che mi ha confusa ancora di più. Ma, a distanza di tempo, questo libro ha acquistato alcune sfumature, alcune sensazioni che per me hanno senso, molto senso.
Tutti quei nomi, all'inizio del romanzo, la difficoltà a collegare chi ha fatto cosa e le mansioni di ognuno, non è forse la stessa che si prova quando si va a lavorare in un nuovo posto di lavoro? E gli intrighi e le vicende surreali non sono forse altrettanto incomprensibili, come quelle che avvengono tra le mura dei nostri uffici e di cui non parleremmo così tanto, in pausa caffè, se non fossero proprio così strane? E i nostri colleghi alle volte non ci sembrano altrettanto meschini, distanti da noi e dal nostro modo di concepire il lavoro o la vita stessa?
Ora mi è chiaro il commento di Nick Hornby in copertina: «... si riesce a sentire il rumore delle nostre vite che scorrono», perché è lì che trascorriamo la maggior parte del nostro tempo, in ufficio, ed è con loro che condividiamo le ore, i colleghi.

La cosa buffa del lavoro era il fatto che fosse sopportabile. Il compito più noioso era sopportabilissimo. Le sfide da vincere, la confusione dovuta a un'urgenza, la soddisfazione del compito portato a termine, ogni giorno rendevano il lavoro totalmente, persino armoniosamente, sopportabile. Quello di cui ci lamentavamo, quello su cui non potevamo soprassedere, quello che ci turbava e consumava con furia cieca erano le persone che facevano soffrire e offendevano gli angeli in cielo, che portavano vestiti sbagliati e ci scaricavano addosso per forza le loro caratteristiche intollerabili, persone che da un dio giusto avrebbero meritato solo dolore e disprezzo perché erano insulse, prive di poesia, inesorabilmente tenaci e insensibili al gesto grandioso.
Continuo però a non trovare tutto ciò divertente, anzi, molto triste.