Qualche
giorno fa ho letto questo commento a un post di un blog che seguo
(non faccio nomi, non hanno importanza):
Sono un po' confusa dal discorso della casalinga e scrivo questo commento perché mi piacerebbe sentire altre opinioni a riguardo. Vedere le cose da un altro punto di vista fa spesso bene. Sono d'accordo quando si dice che, indipendentemente dal lavoro, il figlio è di entrambi e quindi tutti e due dovrebbero prendersene cura. Non riesco però a capire la relazione tra casalinga e lavoro. Dal mio punto di vista la casalinga/o è una persona che si prende cura della casa e di tutto ciò che concerne, famiglia inclusa.
Ciò che ho sempre pensato, però, è che anche una qualunque persona che lavora, alla fine, si prende cura della casa e della propria famiglia. Solo che oltre a fare ciò che fa una casalinga (xchè credo che siano poche le persone che possano permettersi un aiuto a casa in modo più o meno stabile), lavora 8 ore al giorno. Per questo non riesco a vedere il nesso tra essere casalinga e il suo lavoro in quanto tale. Ripeto, non vuole essere un attacco.
E
ci sono rimasta male. E mi sono sentita pungere sul vivo. E ho
continuato a ritornarci col pensiero.
Mi
sono sentita chiamata in causa in prima persona perché sono, per mia scelta
dopo la nascita di VV, una casalinga. Odio il termine, non mi
definisce, forse preferisco mamma a tempo pieno. Ci sono rimasta male
perché so che ci sono persone che pensano la stessa cosa,
involontariamente lo faccio anch'io alcune volte, fa più male se a
dirlo è una donna.
Non
mi è piaciuto il sottinteso che una mamma che lavora fa di più di
una che un lavoro non ce l'ha; ma non sono riuscita ad arrabbiarmi
troppo con la commentatrice perché ha sottolineato in apertura e
chiusura che voleva solo capire di più.
Però...
però ho sentito il bisogno di giusitificarmi, di dimostrare che non
è vero che faccio di meno, che non sto a casa a fare la bella vita
mantenuta dal marito. Così è un po' di giorni che arringo questa
sconosciuta nella mia testa, poverina...
Le
sto dicendo questo: il mio lavoro è fare la mamma. Lo so, mamma lo
sei anche tu, ma non durante le otto ore in cui sei al lavoro, in
quell'arco di tempo tuo figlio lo sta crescendo qualcun' altro. E
così come io non so cosa significhi e quanto sia difficile dover
delegare qualcuno a farlo al posto tuo, tu non sai cosa significhi e
quanto sia difficile farlo 24 ore su 24, non stop. Non timbro il
cartellino dopo le 8 ore, non ho ferie e permessi, non posso mandare
al diavolo il capo (mia figlia) e andarmi a prendere un caffè con la
collega amica perché sono a casa da sola la maggior parte del tempo.
Non ho ferie, permessi, tredicesime e quattordicesime anzi, molto
spesso, il mio lavoro non viene riconosciuto.
Anche
tu badi alla casa e, sbagliando, pensi che hai molte meno ore di me
per farlo (la sera dopo il lavoro e nel weekend). In realtà, io
penso che dedichiamo alla casa lo stesso numero di ore, solo che tu
ti senti giustificata a trascurarla un po' lavorando e io invece,
stando tutto il giorno a casa, sento il coro delle persone, che la
pensano come te, che mi giudicano se lo faccio. In più, sempre per
il ragionamento sbagliato, non mi oso a chiedere aiuto. Penso anche
che affrontare questo coro sia la parte più difficile dell'essere
mamma a tempo pieno, così come il non sentirsi in diritto di
chiamare il time out quando si sente di aver esaurito tutte le
energie e le forze a disposizione, c'è sempre in sottofondo quel
“Non lavori...” e molto spesso sei tu stessa a dirtelo per prima,
in una contraddizione continua.
Sarebbe
bello invece se riconoscessimo tutti, soprattutto tutte, che è
difficile sempre, che si scelga di stare a casa o si decida di
tornare al lavoro, che come ogni scelta, ognuna è fatta di rinunce e
compromessi, che tutte nell'arco della stessa giornata malediciamo la
nostra situazione e un attimo dopo ci sentiamo le donne più
fortunate del mondo.
Il
giorno in cui ho letto quel commento pioveva ed io e VV siamo state a
casa tutto il giorno, da sole. Al momento della merenda, col suo
biscotto in mano, VV è venuta saltellando da me, che ero seduta a
sorseggiare un caffè, e mi ha detto: «Sono
contenta». Pochi minuti dopo,
quando mi sono rifiutata di ascoltare per la milionesima volta la
stessa canzone, VV si è gettata piangendo sul divano urlando: «Io
sono stufata!».
Anch'io
sono contenta, bambina mia, anch'io sono stufata.