Avevo
timore di iniziare a leggere questo libro. Sono una fifona; se un
film dell'orrore, del terrore o un thriller rischiano di non farmi
più dormire la notte, con una storia vera,
accaduta realmente la paura è assicurata. Se la storia in questione
riguarda un bambino, il timore raggiunge vette indicibili. Quindi di
solito evito, sperando che funzioni il caro vecchio detto: occhio non
vede, cuore non duole.
Avevo
paura quindi a intraprendere la lettura di “Mi sa che fuori è
primavera” di Concita De Gregorio perché sapevo già che nasceva
dalla storia delle due gemelle di 6 anni portate via dal padre e
sparite nel nulla, “probabilmente morte”, come dice ad un certo
punto la madre stessa. Probabile, forse, ma non è sicuro...
Da
quando è nata VV ho la paura che hanno tutti i genitori, di
perderla. Quella paura che ti fa alzare di notte per vedere se
respira (e che te la fa toccare e disturbare se non riesci a capire
se respira...), la paura delle malattie, la paura di perderla di
vista quando sei fuori, in mezzo alla gente, la paura degli estranei.
La paura. Spesso non ci pensi ma lei è lì, sempre presente, il
cuore che perde un colpo, lacrime inspiegabili che ti salgono agli
occhi, un brivido lungo la schiena anche quando fuori fa caldo. L'ho
sempre detto: sono rimasta incinta e ho iniziato a preoccuparmi. E ad
avere paura.
Così,
nonostante questo nodo che mi prende allo stomaco e che se lo ascolto
troppo non mi fa dormire la notte, avevo anche una curiosità morbosa
di leggere e di capire come si fa a continuare a vivere dopo una
perdita.
...la perdita di un figlio è la pietra di paragone, la misura aurea del dolore. Il metro. Ogni altra difficoltà della vita è contenuta in quel perimetro. Si ridimensiona, in un certo senso conoscere i confini è un privilegio. Lo so , lo so: sembra un'eresia dire che è anche un privilegio, conoscere i confini del dolore. Eppure è così... Avere il privilegio di sapere. A che prezzo, certo. Ma quello che è davvero prezioso – la conoscenza, per esempio, ma anche l'amore profondo – ha un prezzo sempre, no?
E
infatti io non lo so. E non l'ho compreso neanche dopo la lettura di
questo libro. E non lo voglio sapere.
Però
ho capito che si può, si riesce a vivere, ancora, dopo. E amare,
gioire, avere fede e speranza nel futuro. Non so come fa ma lei,
Irina, la mamma delle due gemelline ci riesce. E capisco anche che
qualcuno, molti, si scandalizzino che ci riesca, nonostante quello
che le è successo. Si è trovata a un bivio, il giorno in cui ha
perso le figlie e l'ex marito, e ha dovuto scegliere: continuare a
vivere o sparire con loro tre. E lei ha scelto di continuare a vivere
e per farlo deve essere felice. E' una donna forte e coraggiosa.
...niente si dimentica ma tutto, a momenti, si deve poter prendere e mettere in un posto. Tenerlo in mano e metterlo in tasca, spostarlo sul comodino come fosse un fiore in un vaso, uscire, poi rientrare e trovarlo lì. Come potremmo vivere senza placare la memoria, che non vuol dire arrendersi, o dimenticare, ma lasciare che il caldo si raffreddi, che il bagnato si asciughi, che ogni cosa si trasformi e nasca un inizio da ogni fine. Che la fame si sazi per tornare a essere fame. Che il desiderio si estingua per rinascere. Che il sonno dia pace alla stanchezza per avere sonno di nuovo. Ogni minuto della vita gira attorno a qualcosa che non c'è più perché qualcos'altro possa accadere...C'è bisogno di essere felici per tenere testa a questo dolore inconcepibile.
Grazie per questo assaggio di dolore e di felicità.
RispondiEliminaFa effetto come siano entrambe le facce della stessa medaglia, come uno non possa esistere senza l'altra...
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