lunedì 14 maggio 2018

Il resto è ossigeno


Ho pensato: che coraggiosa che è stata Valentina Stella, scrittrice turineisa a scrivere una storia che poteva spingere il lettore a domandarsi se Sara fosse lei, Arturo suo marito e Giulia sua figlia, a confondere lo scrittore e la sua vita con i personaggi del libro. Chissà se qualcuno ha avuto il coraggio di chiederglielo e chissà lei cosa avrà risposto. Ma poi, che importanza ha?
Ho pensato: ecco perché Valentina Stella nomina spesso Arturo, con affetto e nostalgia. Ecco perché secondo me è il suo personaggio preferito, quello a cui è più legata. Ecco perché è anche il mio.
Ho pensato: bella questa idea del racconto a due voci, una di Sara e una di Arturo, che si alternano in un passaggio di testimone, che svelano e rivelano un poco alla volta, che senza saperlo continuano a dialogare tra di loro. O riprendono a farlo. Chissà se l'avrà scritto proprio così o avrà prima dato voce a un personaggio e poi all'altro, si è domandata la me che vorrebbe sempre sbirciare dal buco della serratura mentre uno scrittore compie il suo prodigio.
Ho pensato: grazie Valentina Stella per aver scritto l'unico finale possibile secondo me perché per un attimo ho temuto e, giuro, che sarei stata molto ma molto delusa fosse andata altrimenti.

Arturo, uno dei due protagonisti de “Il resto è ossigeno” si è perso e così, in seguito a un attacco di panico, decide di lasciare moglie e figlia e incomincia a camminare, all'inseguimento non sa bene neanche lui di che cosa. Sara, la moglie, resta, perché non ha scelta, perché è fatta così, perché forse non c'è mai veramente stata. Arturo si perde, Sara, che non sapeva di essersi smarrita, lentamente si ritrova. In mezzo le strade di Torino, che accompagnano il cammino di queste due anime alla ricerca.
E io che alle volte vorrei fare come Arturo, prendere e andarmene, pur avendo capito da tempo che non servirebbe a niente, perché non si può mai fuggire veramente. E io che alle volte ho paura di aver fatto come Sara ed aver perso me stessa. In mezzo, un prato, dove allo stesso tempo anelo e temo di tornare.
Dei miei vent'anni mi manca il sapere che tutto può ancora succedere. Il sapere di essere in un prato enorme da cui partono tante strade, e io sono lì, a giocare, bere, ridere, scherzare, amare, e poi, con calma, dovrò solo sceglierne una e cominciare a costruire il futuro.[...]
Poi però penso che fra poco ne avrò quaranta, e in qualche modo – senza volerlo – sono tornata in quel prato, e sto di nuovo cambiando tutta la mia vita.
Forse quel prato non è esclusiva dei ventenni, ma di tutti quelli che non si accontentano mai, di quelli che nelle vene hanno sangue e inquietudine.
Forse chi si ritrova in quel prato non riesce mai a essere davvero felice.

2 commenti: