Sono
stata a lungo in dubbio se scrivere o meno le mie impressioni sul
caso “Salone Internazionale del libro” di Torino e il neonato
“Tempo di Libri” di Milano; diffido di chi ha sempre un'opinione
su tutto. Inoltre non sono un'esperta di editoria: ho fatto un corso,
è vero, e ho bazzicato quel mondo per qualche anno lavorando prima
come segretaria personale di una giornalista e poi in una agenzia
editoriale, ma in fondo sono stata e resto una semplice lettrice e,
in quanto tale, molte dinamiche mi sfuggono.
Sono
dispiaciuta ovviamente per l'accaduto, perché mi sembra una guerra
tra poveri, che si devono spartire una magra pagnotta e ho come
l'impressione che, in generale, nessuno ci abbia fatto una bella
figura finora... Confesso di non essermi neanche informata più di
tanto, ogni fazione tira acqua al proprio mulino e non si capisce mai
dove sta la verità, se mai
ce ne fosse una; se siete però interessati a leggere qualcosa al
riguardo, vi consiglio il blog “Bookblister” di Chiara Beretta
Mazzotta, un editor super partes che conosce bene il mondo
editoriale, ma soprattutto una lettrice che i libri li ama e li
legge: quanto accaduto l'ha nominato “Libriful” e il nome mi
sembra molto azzeccato!
Due
miei pensieri, però, ho deciso di condividerli, due miei punti di
vista che non ho mai cambiato con il passare degli anni. Uno è sui
lettori e uno è sull'editoria.
Per
raggiungere il mio liceo, per tutti e cinque gli anni che l'ho
frequentato, ho sempre fatto un lungo tratto di strada a piedi
insieme ad altri compagni; ho un bellissimo ricordo di quelle
passeggiate fatte con qualsiasi tempo, durante le quali ci
confrontavamo, confidavamo, scontravamo sui più disparati argomenti.
Tra questi miei compagni di strada c'era un ragazzo che era un forte
lettore e un altrettanto forte acquirente; a differenza di me che ero
(e sono) anche una assidua frequentatrice di biblioteche, lui
comprava tutti i libri che desiderava leggere, aveva una libreria
fornitissima a cui non ho mancato di attingere a piene mani. Ricordo
che si lamentava spesso del costo dei libri e che fosse convinto che
questa fosse una delle cause dei pochi lettori presenti in Italia. A
nulla sono valsi i miei tentativi per fargli cambiare idea, gli
esempi e i paragoni: «C'è
gente che va a ballare tutti i fine settimana e le discoteche sono
altrettanto care. Sai quanti libri potrebbero comprarsi con gli
stessi soldi?! Semplicemente non gli interessa leggere!».
Lui non si capacitava di questa cosa, ne soffriva proprio. E non
veniva quasi mai in discoteca a ballare.
Anni
dopo, entrambi universitari con indirizzi di studi differenti,
eravamo però ancora alle prese con i nostri dibattiti libreschi,
fino al giorno in cui gli spezzai il suo cuore di lettore. Stavo
frequentando il famoso corso di tecniche editoriali e condivisi una
nozione che avevo appena appreso e che entrambi non avevamo mai
considerato: potresti avere in mano il libro più bello del mondo ma,
se in quel momento, quel libro non risponde alla domanda del mercato,
tu editore non lo pubblichi. It's business, baby...
Per
concludere quindi, se in Italia ci sono pochi lettori la causa non è
il costo dei libri (anche se io, in quanto lettrice, sarei davvero
felice costassero di meno perché ne comprerei molti di più...) e
c'è una bella differenza tra chi è interessato a che un libro venga
venduto (mercato) e chi è interessato a che venga letto (cultura).
Nonostante i discorsi infarciti di parole come cultura, lettori, promozione della lettura, ecc., ho
come l'impressione che la diatriba tra Torino e Milano sia business,
baby...
Mi sa che tu abbia proprio ragione: it's business....claudiag
RispondiEliminaPer fortuna esistono anche realtà che oltre alle vendite, sono interessate a fare cultura. Custodiamole!
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