Forse
Murakami Haruki mi disapproverebbe. O forse sono io che provo sempre
l'istinto di dovermi giustificare per questa mia inspiegabile
passione per i libri in cui gli autori parlano della scrittura, di
come compiono questo atto, come hanno iniziato, come lavorano, come
sono organizzate le loro giornate. Ammetto di essere attratta da
questo tipo di libri più che dai loro stessi romanzi, sono più
interessata a spiarli mentre compiono il misterioso atto di scrivere,
che a leggere quello che mettono nero su bianco. Sembra quasi io
voglia carpire chissà quale segreto. O forse, semplicemente, provo
una profonda attrazione per la persona più che per il libro.
Di
Murakami Haruki ho letto solo un romanzo, “Tokyo Blues”, sotto le
insistenze del ragazzo che stavo frequentando in quel periodo: del
libro non ricordo nulla, se non la delusione del ragazzo perché gli
avevo detto che non mi aveva colpita.
Ricordo con quanta insistenza cercò di convincermi del contrario, di
che libro meraviglioso fosse, di quanto bravo fosse l'autore.
In
seguito, quando mi sono appassionata alla corsa, ho letto con grande
piacere e interesse “L'arte di correre” (ne avevo scritto QUI): una riflessione su
quanto, per Murakami, scrittura e corsa siano intrecciate e di come
l'attività fisica lo aiuti nel suo lavoro di scrittore. Da qui poi
partono svariate riflessioni sulla (sua) vita e, attraverso quelle
pagine, scopri come sia un uomo molto metodico e disciplinato,
tranquillo e abitudinario. Niente genio e sregolatezza qui. Mi
piacque molto leggerlo e molti brani sono entrati a far parte della
mia collezione di frasi d'autore
che mi ispirano.
“Il
mestiere dello scrittore” mi ha ulteriormente confermato di che
tipo uomo sia e l'ammirazione nei suoi confronti è maggiormente
cresciuta. Si può stimare uno scrittore senza aver letto nessuno dei
suoi romanzi? A quanto pare sì; penso davvero che il suo successo
sia meritato e penso anche di sapere perché.
All'età di ventinove anni all'improvviso ho voluto scrivere un romanzo, senza alcuna ragione al mondo, e l'ho fatto. Era la prima volta, non avevo né ambizione né condizionamenti tipo «un romanzo va scritto in questo e quel modo». Non sapevo quasi nulla del panorama letterario del momento, né c'erano scrittori delle generazioni precedenti che volessi prendere a modello (che fosse una fortuna o meno). Desideravo semplicemente scrivere qualcosa che riflettesse quello che avevo dentro di me. Era una sensazione molto forte che non lasciava spazio ad altro, così mi sono seduto al tavolo. Insomma, ho cercato di fare del mio meglio. E mentre scrivevo mi divertivo, provavo una naturale sensazione di libertà.
Il
libro è suddiviso in sezioni e ognuna affronta i diversi aspetti del
suo lavoro come scrittore: come ha iniziato, quando scrive, come
sono organizzate le sue giornate e le condizioni di base di cui
necessità per poterlo fare al meglio. Affronta anche aspetti quali il
lettore ideale, i personaggi, i temi e lo stile.
Ho immaginato di avere trenta o quaranta persone sedute di fronte a me e di parlare loro nel tono più familiare possibile... questo libro verrà probabilmente accolto come un «saggio autobiografico», ma in origine non l'ho scritto con quest'intenzione. Pensavo soltanto di mettere nero su bianco, nel modo più concreto e tangibile, per quali vie, con quali idee sono arrivato, in quanto romanziere, fin qui. Detto ciò, visto che scrivere significa per l'appunto esprimere se stessi, quando mi metto a parlare della scrittura, naturalmente parlo di me.
Traspare
dalle sue parole la sua tranquilla determinazione nel perseguire la
cosa che più ama fare nella vita: scrivere. Di
come rifugga tutto quello che possa essere di impedimento a questo
scopo: fama, critiche sterili, premi letterari, chiacchiere e
pettegolezzi. Grato per il successo che sta ottenendo, io sono
convinta che anche se così non fosse, continuerebbe a scrivere,
esattamente come tutti i giorni scende in strada e incomincia a
correre, anche se non ha mai vinto una maratona. Gli piace scrivere, gli da gioia e continuerà fino a quando sentirà
ancora le farfalle
nello stomaco.
Fino a quando avrà qualcosa da raccontare e, mettendolo per iscritto, proverà
libertà.
In qualunque lavoro creativo dev'esserci un nucleo di gioia spontanea. L'originalità è semplicemente la forma che prende l'impulso di trasmettere a un gran numero di persone questo sentimento di libertà, questa gioia che non conosce restrizioni.Questi trentacinque anni di vita sono forse stati lo sforzo ardente e costante di provare ancora e sempre meraviglia.
Credo
che un lettore tutte questo lo percepisca.
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