Un
giorno ho pubblicato una foto su Instagram di “Eccomi” di
Jonathan Safran Foer e nella didascalia avevo scritto: odi et amo. In
quella foto in particolare mi riferivo a un generico per i libri
molto lunghi, ma credo che possa
essere un riassunto in due parole di quello che ho provato verso
questo libro di più di cinquecento pagine.
Una
sera a cena con amici, raccontavo di questa mia lettura ancora in
corso, mi lamentavo che procedevo a rilento, un po' perché lo stavo
leggendo in lingua originale, e un po' perché c'era davvero troppa
roba in questo libro,
ed ero in dubbio se fosse tutto funzionale o meno alla storia. «Uno
di quegli autori che se tagliassi metà libro, andrebbe comunque
bene» commentò scherzando la mia amica.
Ora
che l'ho finito posso dire che no, non andrebbe comunque bene. È
vero, è uno di quei libri che ha una storia, ma anche tante altre
sotto storie, in una sorta di matrioska infinita e anche se, quando
il narratore si occupa di una di queste storie minori,
tu vorresti urlargli «Falla finita! Voglio sapere come procede la
storia principale!» dentro di te tu sai che non è possibile, perché
è di vita che stiamo parlando. La
vita è fatta di storie è
anche la mia frase preferita, quella che ho scelto proprio per il
blog; queste storie che la compongono sono tutte importanti.
Mi
sono profondamente affezionata alla famiglia Bloch, mi sono
riconosciuta in alcune dinamiche tra Julia e Jacob, tra moglie e
marito, a turno li ho amati e odiati, ho fatto il tifo per uno e poi
per l'altro, ho incolpato il distacco apparente di Jacob, mi sono
arrabbiata perché Julia non
ci ha creduto abbastanza.
Ho avuto conferma di come
sia facile, di quanto
sia facile rovinare tutto, di lasciare andare la barca alla deriva, e
di come sia tremendamente difficile non farlo. Mi sono fatta decine
di domande a cui non sono riuscita a dare risposte. Ho amato Sam, Max
e Benjy come fossero figli miei e avrei voluto, in più occasioni,
proteggerli. È
stato difficile essere impotente.
Ho amato la scrittura di Foer, così come l'ho amata nei suoi libri precedenti, e se c'è uno scrittore che è bravo a scrivere dialoghi, quello è lui; come parlano i suoi personaggi è così vero che è più vero della vita vera.
Ho amato la scrittura di Foer, così come l'ho amata nei suoi libri precedenti, e se c'è uno scrittore che è bravo a scrivere dialoghi, quello è lui; come parlano i suoi personaggi è così vero che è più vero della vita vera.
È
stata una lettura di odi et amo, ma ora che l'ho finito e che, a
distanza di tempo, ci ripenso posso dire che è proprio per questo
che vale la pena leggerlo e magari rileggerlo, per capire meglio non
solo amo,
ma soprattutto odio.
Jacob
had made half a dozen trips to IKEA, and even then he couldn't
discern if, on balance, he loved or loathed it. […]
He loathed the machine that punched that poor chair over and over,
punched it all day every day and probably through the night,
confirming both the resilience of the chair and the existence of
evil.
(Jacob
aveva fatto una mezza dozzina di viaggi da Ikea, e ancora non
riusciva a capire se, a conti fatti, l'amava o l'odiava. Odiava la
macchina che colpiva quella povera sedia ancora e ancora, la colpiva
tutto il giorno tutti i giorni e probabilmente anche tutta la notte,
confermando così sia la resilienza della sedia che l'esistenza del
male.)
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