C'è
una scena nel film “Will Hunting – Genio ribelle” in cui Matt
Demon confida a Robin Williams di aver conosciuto una ragazza ma di
non voler continuare a frequentarla, per paura di scoprire che non è
così perfetta come sembra. In risposta Robin Williams gli racconta
alcune cose che gli mancano di sua moglie, morta da due anni:
soffriva di flautolenza, ad esempio.
Sono queste le cose che più mi mancano. Le piccole debolezze che conoscevo soltanto io. Questo la rendeva mia moglie. Anche lei ne sapeva delle belle sul mio conto, conosceva tutti i miei peccatucci. Queste cose la gente le chiama imperfezioni, ma non lo sono. Sono la parte essenziale. Poi dobbiamo scegliere chi fare entrare nel nostro piccolo strano mondo. Tu non sei perfetto, campione. E ti tolgo dall'incertezza. La ragazza che hai conosciuto, non è perfetta neanche lei. Ma la domanda è se siete o no perfetti l'uno per l'altra. È questo che conta. È questo che significa intimità. Puoi sapere tutte le cose del mondo, ma il solo modo di scoprire questa qui è darle una possibilità.
Quando
è successo quello che sappiamo essere successo al Salone del Libro
di Torino la scorsa estate è così che l'ho vissuto: come un piccolo
lutto. Non mi capacitavo che sarebbe potuto non esserci più, che VV
sarebbe cresciuta senza poterci andare ogni anno così come aveva
sempre fatto da che era nata.
Di
questo ho avuto conferma quest'anno, durante i giorni del Salone: che
siamo intimi, che un po' mi appartiene, lo sento mio, è casa mia e
lo amo, pur con tutte le sue imperfezioni.
«Quelli che il Salone». Che si ritrovano ogni anno, che si riconoscono anche se non si sono mai visti, che amano i loro riti, le code interminabili davanti agli ingressi e alle sale dei convegni, le torme di bambini in cui si rischia continuamente di inciampare, la pizza consumata nei corridoi, seduti per terra, il caldo, la ressa, il frastuono, gli andirivieni estenuanti, tutto ciò che rimarrà scolpito nel ricordo come un’impresa, una conquista che all’aspetto culturale aggiunge l’ineffabile piacere della prova eroica di resistenza a cui sottomettersi una volta l’anno. Il Salone di Torino è caotico, scomodo, imperfetto, vitale. Anche per questo piace.
Possono
fare tutte le fiere del mondo: più belle, meglio organizzate, con i
big, l'aria condizionata, divani su cui sedersi e niente coda di
fronte ai bagni. Ma non saranno mai il Salone Internazionale del
Libro di Torino.
Una comunità di lettori non si improvvisa di punto in bianco. Ed è questo che i Grandi scissionisti non hanno capito, o hanno capito troppo tardi, finendo con l’andare a sbattere contro la sperimentata e (da quest’anno) «lagioiosa» macchina da guerra del Salone. Il dio acceca chi vuole perdere, dicevano gli antichi. Perché poi abbia sentito il bisogno di perderli, è una domanda che gli interessati dovrebbero porre a se stessi.
E'
questo che ho percepito in questi giorni passati nel Lingotto, di
fare parte di una comunità e ho tenuto fede al mio buon proposito di
andare oltre il confine del mio guscio: non sempre ci sono riuscita,
perché è difficile abbandonare se stessi, ma più di una volta una
me impacciata e imbarazzata ha apostrofato perfetti sconosciuti.
Pochi, alla fine, gli incontri che mi ero segnata e a cui ho preso
parte, tanti invece quelli umani,
così
come tanti sono i libri che ho comprato. L'avevo annunciato che il
mio tifo sarebbe stato sfegatato!
Where everyone at all can come, for imagination is free.
Jeffer Winston
(I
brani in corsivo, a parte il dialogo del film, sono tratti da questo
articolo de La stampa)