Dopo
aver assistito all'incontro al Salone del Libro di quest'anno,
essermi presa una cotta adolescenziale, aver acquistato la mia copia
e aver atteso pazientemente in coda il mio turno per farmela
autografare (e io ci tengo
agli autografi, come vi raccontai qui), non vedevo l'ora di tornare a
casa a leggere “A wild Swan” di Michael Cunningham (“Un cigno
selvatico”, pubblicato in Italia da La nave di Teseo). Siamo a
luglio, stareste giustamente pensando...
Non
ho impiegato tutto questo tempo a leggerlo, ma più di quello che
immaginavo sì. Non nascondo che a differenza di “The Hours”,
unico altro suo romanzo letto da me, l'inglese questa volta mi ha
fatta un po' penare: ero sicuramente fuori allenamento, ma ho dovuto
soprattutto cercare tantissime parole nel vocabolario perché ha
usato un linguaggio davvero difficile, desueto, poco contemporaneo;
sembra abbia avuto tutte le intenzioni di rifarsi alla lingua delle
fiabe così come dovevano essere state scritte alle origini.
Al
di là però delle mie difficoltà personali, che hanno sicuramente
rallentato la mia lettura, era l'atmosfera che permeava le pagine a
frenarmi: confesso che, a fine serata, stanca e assonnata, tutto
avevo voglia tranne che incamminarmi tra quelle righe cupe. Dovevo
aspettarmelo, visto che Ivan Cotroneo, quando l'ha presentato, ha
descritto il pennino con cui sono state scritte come se fosse stato
imbevuto nell'inchiostro più nero. Michael Cunningham però mi aveva
altrettanto colta in inganno quando aveva affermato che aveva scritto
questo libro per rispondere a questa semplice domanda: «Il
lieto fine non mi basta, che cosa succede dopo?».
Ecco, dopo non va quasi mai molto bene...
Mi
sono nuovamente ritrovata a domandare a uno scrittore «Perché?»;
perché questo pessimismo, perché queste atmosfere buie e cupe,
perché non c'è il lieto fine, perché sembra volerci dire «Non
credete più alle favole».
Io
però ho avuto la fortuna di sentirlo parlare Michael Cunningham,
l'ho osservato in viso per un'ora intera, gli ho stretto la mano (lo
seguo anche su Instagram!) e tutto mi è sembrato tranne un uomo
freddo, cinico e senza speranza che non crede più alle favole. E
allora che cosa ha cercato di dirci con questo libro?
Io
mi sono data questa risposta: vedi, Biancaneve, la vita è difficile,
dura, noiosa, delude spesso le tue aspettative, ti fa cadere, ti
sporca e ti sbuccia le ginocchia, tocca ogni volta rialzarsi e
sembra, ogni volta, più complicato. Siamo fatti carne e sangue,
siamo mortali, deboli e, a volte, infidi e subdoli, eppure... Eppure,
nonostante questo, vale la pena andare nel bosco e mangiare la mela,
vale la pena ogni prima volta,
vale la pena continuare a sognare, a sperare, a immaginare, quando
ancora tutto è possibile e non ha importanza il dopo.
I
like thinking this way, when I was a dream you were having, when I
was premonition, when I was perefect because I didn't exist, when I
was pure possibility,... when you were immaculate, and entirely
strange, and the most perfect and beautiful creature I'd ever seen.
Before I lifted the lid...and kissed you for the first time.
Mi
piace pensarla così, quando ero ancora un sogno che stavi facendo,
quando ero una premonizione, quando ero perfetto perché non esistevo
ancora, quando ero pura possibilità,... quando tu eri immacolata, e
totalmente estranea, e la creature più perfetta e bella che io
avessi mai visto. Prima che io sollevassi il coperchio... e ti
baciassi per la prima volta.
(Il
libro di Michael Cunningham è arricchito dalle bellissime
illustrazioni di Yuko Shimizu e a partire dall'8 luglio ci sarà la
possibilità di vederle dal vivo presso la Venaria Reale, all'interno
della manifestazione Milanesiana organizzata da Elisabetta Sgarbi.
Qui tutte le informazioni.)
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