Quando
uscirà questo post mio marito ed io staremo accompagnando VV alla
sua nuova scuola per il primo giorno di primaria. Molto probabilmente
sarò concentratissima a mostrare la mia faccia migliore di madre
serena, fiduciosa, tutta sorrisi ed entusiasmo, mentre farò del mio
meglio per ricacciare indietro le lacrime e tenere a bada il
terremoto che mi si starà agitando dentro.
Ogni
passaggio che ha dovuto affrontare VV, come lo svezzamento, l'addio
al ciuccio e al pannolino, così come il primo giorno di scuola
dell'infanzia, sono sempre stati fonte di emozione e preoccupazione,
come per ogni genitore, ma sono sempre riuscita a gestirli perché,
alla fine di mille tormenti e ragionamenti, ero sempre arrivata alla
conclusione che avevo fiducia in mia figlia, nelle sue capacità e
«Non conosco nessuno che a
diciotto anni porta ancora il pannolino, usa il ciuccio e dorme nel
lettone». Insomma, prima o
poi ce la si fa.
Quest'anno
però sento che è diverso e ho capito che non ha nulla che vedere
con VV; riguarda me.
Sei
lunghi anni passati in un baleno in cui mi sono alzata, mi sono
vestita, mi sono scaldata e mi sono presentata sul campo. Con
qualsiasi tempo, in ogni condizione, da sana e da malata, con
entusiasmo o poca voglia, con ben chiaro in testa che cosa fare,
senza la più pallida idea di che cosa stessi combinando, ho calcato
quel prato insieme a mia figlia. Lacrime e sudore, risate e urla,
sconfitte e vittorie, piani d'azione, strategie di gioco,
schieramenti in campo: non abbiamo perso un giorno di allenamento.
E
adesso è arrivato il giorno della prima partita di campionato. Ci
troveremo nello spogliatoio, controlleremo l'attrezzatura, l'aiuterò
ad infilare la divisa, faremo riscaldamento insieme, le ultime
raccomandazioni e poi ci avvieremo lungo il corridoio, verso la luce.
Ed
è questa parte che ho compreso essere la più difficile per me.
Noi
genitori ci preoccupiamo, vorremo il meglio per i nostri figli,
vorremmo dare loro tutto quello che noi non abbiamo avuto e molto di
più. Facciamo sogni e progetti sul loro futuro, ce li immaginiamo da
grandi, adulti felici e realizzati. Vorremmo risparmiargli sofferenze
e delusioni, rinchiuderli sotto la famosa campana di vetro. Pensiamo
di conoscerli completamenti, pensiamo di sapere che cosa è meglio
per loro, in che cosa sono bravi e in cosa no, vorremo spianargli la
strada. Ecco perché a volta ci arrabbiamo tanto, rimaniamo delusi e
la prendiamo sul personale. Ma la dura verità è un'altra, facciamo
fatica ad accettarlo o addirittura a comprenderlo: è la loro vita,
non la nostra.
Sei
anni, di cui tre di asilo, per prepararci a questo momento, in cui
potremo tifare, incitare, arrabbiarci, spronare, dare consigli e
suggerimenti ma la partita è loro, non la possiamo giocare noi. E
come un buon allenatore che si rispetti, non possiamo superare quella
linea, il nostro posto è a bordo campo.
Buon
ritorno sui banchi di scuola a tutti, grandi e piccini!
Cercherò di tenere a mente le tue parole, molto vere, in quest'anno di prima media che attende mio figlio. Ma quanto si soffre a bordo campo!
RispondiEliminaTantissimo!
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