lunedì 9 settembre 2019

A bordo campo


Quando uscirà questo post mio marito ed io staremo accompagnando VV alla sua nuova scuola per il primo giorno di primaria. Molto probabilmente sarò concentratissima a mostrare la mia faccia migliore di madre serena, fiduciosa, tutta sorrisi ed entusiasmo, mentre farò del mio meglio per ricacciare indietro le lacrime e tenere a bada il terremoto che mi si starà agitando dentro.
Ogni passaggio che ha dovuto affrontare VV, come lo svezzamento, l'addio al ciuccio e al pannolino, così come il primo giorno di scuola dell'infanzia, sono sempre stati fonte di emozione e preoccupazione, come per ogni genitore, ma sono sempre riuscita a gestirli perché, alla fine di mille tormenti e ragionamenti, ero sempre arrivata alla conclusione che avevo fiducia in mia figlia, nelle sue capacità e «Non conosco nessuno che a diciotto anni porta ancora il pannolino, usa il ciuccio e dorme nel lettone». Insomma, prima o poi ce la si fa.
Quest'anno però sento che è diverso e ho capito che non ha nulla che vedere con VV; riguarda me.
Sei lunghi anni passati in un baleno in cui mi sono alzata, mi sono vestita, mi sono scaldata e mi sono presentata sul campo. Con qualsiasi tempo, in ogni condizione, da sana e da malata, con entusiasmo o poca voglia, con ben chiaro in testa che cosa fare, senza la più pallida idea di che cosa stessi combinando, ho calcato quel prato insieme a mia figlia. Lacrime e sudore, risate e urla, sconfitte e vittorie, piani d'azione, strategie di gioco, schieramenti in campo: non abbiamo perso un giorno di allenamento.
E adesso è arrivato il giorno della prima partita di campionato. Ci troveremo nello spogliatoio, controlleremo l'attrezzatura, l'aiuterò ad infilare la divisa, faremo riscaldamento insieme, le ultime raccomandazioni e poi ci avvieremo lungo il corridoio, verso la luce.
Ed è questa parte che ho compreso essere la più difficile per me.
Noi genitori ci preoccupiamo, vorremo il meglio per i nostri figli, vorremmo dare loro tutto quello che noi non abbiamo avuto e molto di più. Facciamo sogni e progetti sul loro futuro, ce li immaginiamo da grandi, adulti felici e realizzati. Vorremmo risparmiargli sofferenze e delusioni, rinchiuderli sotto la famosa campana di vetro. Pensiamo di conoscerli completamenti, pensiamo di sapere che cosa è meglio per loro, in che cosa sono bravi e in cosa no, vorremo spianargli la strada. Ecco perché a volta ci arrabbiamo tanto, rimaniamo delusi e la prendiamo sul personale. Ma la dura verità è un'altra, facciamo fatica ad accettarlo o addirittura a comprenderlo: è la loro vita, non la nostra.
Sei anni, di cui tre di asilo, per prepararci a questo momento, in cui potremo tifare, incitare, arrabbiarci, spronare, dare consigli e suggerimenti ma la partita è loro, non la possiamo giocare noi. E come un buon allenatore che si rispetti, non possiamo superare quella linea, il nostro posto è a bordo campo.

Buon ritorno sui banchi di scuola a tutti, grandi e piccini!

2 commenti:

  1. Cercherò di tenere a mente le tue parole, molto vere, in quest'anno di prima media che attende mio figlio. Ma quanto si soffre a bordo campo!

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