Sono
emozionata come una bambina alla vigilia di Natale. Ieri sera
guardavo su Instagram le foto che gli editori postavano della
preparazione degli stand, intravedevo quei corridoi vuoti, ed ero
felice perché tra poche ore li avrei percorsi anch'io. Quest'anno
sono proprio entusiasta di andare al Salone del Libro di Torino, ma
di una felicità ed entusiasmo fanciullo che non mi succedeva da
tempo di provare. Sarà forse dovuto dal fatto che non compro un
libro da moltissimo tempo e non vedo l'ora di regalarmene uno; sarà
che quasi volontariamente ho trascurato le ultime uscite e le novità
e così ogni stand potrebbe essere foriero di scoperte e sorprese;
sarà che è da poco che sono ritornata attiva e completamente
autonoma e il Salone mi sembra una grande festa dopo la lunga
convalescenza.
Nei
scorsi giorni, inizialmente, ero molto dispiaciuta per le numerose
polemiche che ci sono state per la presenza di una casa editrice
vicina a Casa Pound (non ci sarà), per poi arrivare ad essere quasi
annoiata e arrabbiata di tutto quel screditare il Salone, «Ogni
anno ce n'è sempre una...»,
sospiravo tra me e me. Neanche per un attimo ho però pensato di
boicottarlo, sono profondamente convinta dell'importanza culturale di
questa manifestazione, per Torino e per l'Italia tutta. Riflettendoci
a freddo ho poi realizzato che, in fondo, anche durante questi
scomodi accadimenti, il Salone del Libro di Torino sta facendo
cultura, porta avanti il dialogo, il confronto, non chiude porte ma
cerca, come si propone di fare da sempre, di valicare confini, unire
non creare muri.
Senza
andare troppo in là con gli anni, era il 2016 quando con il tema
“Visioni” celebrava chi
ha la capacità di guardare
lontano,
di darsi e vincere sfide che sembrano impossibili, di lavorare per il
futuro attuando progetti forti, basati su una conoscenza vera, ma
anche sul patrimonio letterario, artistico e filosofico che
costituisce la nostra identità culturale... Nel
2017 la grande scissione tra piccole e grandi case editrici e il
Salone proponeva “Oltre i confini”, con la bellissima immagine
del libro ponte perché non
è un oggetto da mettere in vetrina ma una forza viva, trasformativa,
che modifica il paesaggio circostante, che qualche volta cambia
addirittura le carte in tavola, o le regole del gioco, che non ti
lascia come ti aveva preso, che ti consente di fare esperienza.
Nel 2018 con “Un giorno, tutto questo” ha voluto sottolineare
l'importanza del continuare ad interrogarsi e porsi domande: chi
voglio essere? Perché mi serve un nemico? A chi appartiene il mondo?
Dove mi portano spiritualità e scienza? Che cosa voglio dall'arte:
libertà o rivoluzione?
Quest'anno
è la volta de “Il gioco del mondo”, ispirato dal libro omonimo
di Julio Cortázar
e dal gioco della campana, Rayuela in spagnolo (lingua ospite di
questa edizione); il Salone si propone di lanciare il sassolino
immaginario, quello che serve
a compiere il balzo, a superare il confine, per accorgersi, giocando,
che quel limite è evanescente e labile perché disegnato solo con il
gesso.
QUI trovate il programma completo del Salone, io ho deciso di non pianificare nulla, proprio come una bambina lancerò il mio sassolino e saltellando felice, vedrò dove mi porterà. Vuoi giocare con me?
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