Tempo
fa mi è successa una cosa molto curiosa. Nella mia casella di posta
elettronica ho ricevuto una mail da un indirizzo sconosciuto, cosa
affatto nuova, le caselle spam esistono proprio a questo scopo; il
nome non mi diceva nulla ma l'oggetto della mail aveva subito
attirato la mia attenzione.
“Dove
sei?”
Aveva
tutta l'aria di essere una mail spam, magari con un virus, eppure
quella semplice domanda era molto forte nella sua brevità. Non
riuscivo a smettere di fissarla, ci ho pensato un bel po' su, sono
quasi stata sul punto di cancellarla senza nemmeno leggerla e poi ho
detto “Al diavolo il virus, io rischio!” e l'ho aperta.
Era
una mail dal passato, una vita fa come ho scritto al mittente
quando gli ho risposto, a una Francesca che ora in parte non c'è
più, è molto cambiata ma, alcune cose di lei, quelle più profonde
no. Una Francesca che si era iscritta a una newsletter, che per
qualche ragione avevano smesso di scrivere e ora riprendeva ad
arrivare e per me è stato come se quella mail l'avesse inviata
proprio quella me dal passato.
Nella
mail di risposta in cui lo ringraziavo ho usato una parola che,
guarda il caso, ho ritrovato poi in una delle newsletter successive.
Guarda il caso, era anche la fine dell'anno, il momento in cui si
fanno i bilanci di quello appena trascorso e i buoni propositi per
quello che sta per cominciare. E se c'era una cosa di cui ero sicura
era che dopo essere metaforicamente stata
avevo voglia di riprendere il mio cammino.
Proviamo a spostare l’occhio di bue sul processo e a notare la bellezza del percorso che stiamo facendo. La preziosità e le scoperte che ci sono “in between”, nel mezzo del cammino. Se ci focalizziamo solo sul raggiungimento dell'obiettivo rischiamo di non vedere e cogliere tutte le sfumature, le possibilità, le scoperte, che si presentano nel percorso, nei passi che facciamo tutti i giorni per costruire qualcosa che ci interessa. Rischiamo di escludere a priori tutto ciò che il caso ci propone e che potrebbe farci incontrare qualcosa di più ricco, visionario, importante, più adeguato e giusto per noi o per l’organizzazione di cui facciamo parte. E magari anche completamente differente da come lo avevamo immaginato.
Proviamo a riflettere sulla parola “intenzione”. Il dizionario della Treccani ci dice che è un orientamento della coscienza verso il compimento di un’azione. È una direzione della volontà verso un determinato fine. È implicito un orientamento e una direzione della volontà. La cosa veramente interessante è che dentro alla parola “intenzione” non c'è una volontà deterministica, non c'è quella determinazione, non ci sono quei paletti molto precisi che invece la parola “obiettivo” porta con sé. A volte la parola “Intenzione”, nell’intercalare più comune, è legata anche a dei risvolti più rinunciatari ("la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni”). Tante intenzioni e buoni propositi che non sono seguiti da fatti concreti.
L’intenzione emerge dal cuore. Indica un orientamento, una direzione della volontà.
"Avere un'intenzione” significa avere sì un senso di direzione, un senso di volontà, ma essere al contempo aperti, pronti ad accogliere cosa capiterà durante il percorso affinché poi si definisca concretamente il dove arrivare, il cosa fare. Quando manifesto un’intenzione c’è già una bellezza, una pienezza. Quando esplicito un’intenzione l’ho in parte già interiormente raggiunta e non comunico, come faccio con l’obiettivo, solo una mancanza di qualcosa. Mentre quando dico: “abbiamo l'obiettivo di arrivare lì”, sono già un po’ frustrato perché significa che quella cosa non ce l'ho, non la posseggo, ci devo ancora arrivare, e la strada è spesso lunga e tediosa... Diciamo che c’è una gentilezza nell'esplicitare le intenzioni, che gli obiettivi non ci consentono invece di percepire. Gli obiettivi sono molto aggressivi, mentre l’intenzione è più gentile, più intima, in un certo senso più concreta e sensata. È come se l’obiettivo parlasse più di numeri mentre l’intenzione parlasse più di attitudini. L’obiettivo mette l’ego al centro, mentre l’intenzione accantona l’ego e mette in circolo anche una gentilezza, una calma che fa sì che si realizzi ciò veramente serve. Quindi, l’intenzione fa anche un altro lavoro molto bello: non crea frustrazione e soprattutto ci allontana dalle ricette uguali per tutti, dalla convinzione -errata- che ci possa essere un solo modo per arrivare alla meta finale e una sola possibile meta.
“Questi
messaggi che sembrano arrivare dal passato mi confermano che la
mia intenzione era giusta, era buona, anche se sembra
impiegare troppo tempo a sbocciare; questi messaggi la annaffiano, la
concimano” avevo scritto nella mia mail di risposta.
INTENZIONE
è la mia parola per questo anno appena incominciato.
(La
parte in corsivo è parte della newsletter che mi ha ispirata, se
volete saperne di più o iscrivervi anche voi, potete farlo QUI)
"Rischiamo di escludere a priori tutto ciò che il caso ci propone e che potrebbe farci incontrare qualcosa di più ricco, visionario, importante, più adeguato e giusto per noi o per l’organizzazione di cui facciamo parte. E magari anche completamente differente da come lo avevamo immaginato. "
RispondiEliminaA volte le cose succedono non a caso.
Che bella storia ci hai raccontato. Mi piace credere, come te, che il caso ci proponga costantemente nuove vie, nuove Opportunità, e che a noi spetti il compito di scegliere quella verso cui la nostra "intenzione" è orientata.
Orientamento, guarda caso, la mia parola per il 2018 è: bussola. Ho bisogno di ritrovare la strada, di riconoscere la mia bussola personale.
E anche questa tua storia mi aiuta a ritrovare quella bussola, quella mia intenzione.
Buona ricerca, buona strada da percorrere con gentilezza, calma e costanza. E un po' di fortuna, anche! :)
Grazie, cara, buon viaggio anche a te!
Elimina(ma non ti è arrivato niente?)
RispondiEliminaNooo! :-(
Elimina:O
EliminaAllora urge rimediare... le poste non l'avranno vinta! ;D
Intenzione è proprio una bella parola da tenere accanto nell'anno.
RispondiEliminaGrazie Sandra, spero sia una buona compagna di viaggio.
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